Un particolare segmento di DNA ridurrebbe il rischio di sviluppare l’infezione critica da COVID-19. Stiamo andando verso nuovi tipi di trattamento a modifica genetica per aumentare la risposta immunitaria?
a cura della redazione, 13 gennaio
Fin dall’inizio della pandemia, gli scienziati hanno studiato alacremente in che modo la genetica del paziente influenzi la gravità di un’infezione da SARS-CoV-2 , esponendo i fattori ereditari che sembrano proteggere le persone o predisporle a gravi manifestazioni della malattia. Ora un metastudio internazionale guidato dai ricercatori del Karolinska Institutet, in Svezia, ha identificato una specifica variante del gene che protegge dall'infezione grave da COVID-19.
Basandosi sui risultati della fine del 2020, che avevano rivelato numerosi meccanismi genetici legati a casi potenzialmente letali di COVID-19, un team internazionale di ricercatori ha identificato una variante genetica specifica che può conferire protezione da malattie critiche. In un’analisi di 2.787 casi europei di persone positive al coronavirus, incrociati ai dati genetici di 130.997 individui di discendenza africana, i ricercatori hanno identificato un allele nel gene rs10774671 che conferisce protezione contro il ricovero da COVID-19. La variante comune rs10774671 G esiste oggi sia negli africani che negli europei “come risultato della loro eredità dalla popolazione ancestrale comune sia agli esseri umani moderni che ai Neanderthal”, scrivono i ricercatori nel loro articolo.
Nello studio, pubblicato a gennaio su “Nature Genetics” gli scienziati suggeriscono che l’effetto protettivo è dovuto all’influenza esercitata da tale variante sul gene OAS1, che codifica una proteina più lunga e più efficace nell’abbattere il SARS-CoV-2 rispetto alla forma inalterata. “Il fatto che stiamo iniziando a comprendere nel dettaglio i fattori di rischio genetici è la chiave per lo sviluppo di nuovi strumenti contro il COVID-19”, afferma il genetista Brent Richards della McGill University in Canada su Scinece Alert. L’intuizione, però, rischia di portare verso tipi di trattamento a modifica genetica per aumentare la risposta immunitaria.
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