Scendendo a tredici metri di profondità, sotto il Tempio di Taposiris Magna, a pochi chilometri dall'antica capitale egizia di Alessandria, un team di archeologi ha scoperto un tunnel segreto. Secondo le prime teorie, il cunicolo lungo oltre un chilometro, in parte sommerso dal Mediterraneo, potrebbe portare alla tanto agognata tomba di Cleopatra, uno dei grandi misteri dell'umanità...


a cura della redazione, 8 novembre 

Scendendo a tredici metri di profondità, sotto il Tempio di Taposiris Magna, a pochi chilometri dall'antica capitale egizia di Alessandria, un team di archeologi ha scoperto un tunnel segreto. Secondo le prime teorie, il cunicolo lungo oltre un chilometro, in parte sommerso dal Mediterraneo, potrebbe portare alla tanto agognata tomba di Cleopatra, uno dei grandi misteri dell'umanità.

Il Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità ha annunciato il ritrovamento, descrivendo il tunnel come "un prodigio della tecnica ingegneristica antica", per molti aspetti simile al tunnel di Eupalinos sull'isola greca di Samos. A scoprirlo l'archeologa Kathleen Martinez dell'Università di Santo Domingo, da tempo è impegnata nelle ricerche sull’ultima sovrana del periodo tolemaico (51 al 30 a.C.). 

Un suggerimento in tal senso verrebbe dalle monete con immagini dell'ultima regina d'Egitto rinvenute nel sito, ma le probabilità di trovare la tomba di Cleopatra per alcuni archeologi sono dell’1%. Trovare i resti dell'ultima donna faraone d'Egitto sarebbe la scoperta più importante del XXI secolo. Al momento abbiamo ancora più domande che risposte. Il tunnel presenta zone praticamente cieche, causate dai terremoti della zona negli ultimi decenni. 

Al suo interno sono stati ritrovati anche manufatti mai visti prima e tra gli oggetti rinvenuti ci sono statue decapitate della dea Iside. Finora gli scavi hanno rivelato mummie con lingue d'oro e un cimitero contenente mummie in stile greco-romano sepolte di fronte al tempio, a sostegno della teoria di Martinez secondo cui nell'area fu costruita una tomba reale. Oltre al tunnel, l'ultimo ritrovamento comprende due statue di alabastro di epoca tolemaica, una delle quali sembra essere una sfinge, oltre a diversi vasi diversi in ceramica e un blocco rettangolare di calcare.


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Portate alla luce nell'antica necropoli tentacolare egizia antiche sepolture altamente decorate con simboli e geroglifici rituali di oltre 4.000 anni fa...


a cura della redazione, 19 marzo

Gli archeologi hanno scoperto cinque tombe di alti funzionari nelle amministrazioni faraoniche dell’Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio nella necropoli di Saqqara, 30 chilometri a sud-ovest del Cairo. Le pareti sono ricoperte da dipinti di alta qualità in ottime condizioni, i colori ancora vividi, nonostante siano trascorsi più di 4.000 anni, in alcuni passaggi di particolare rilevanza cultuale, indicano la voluta scelta cromatica del bianco, del rosso e del nero. 

Le tombe sono state trovate all’inizio di questo mese dalla piramide di Merenre Nemtyemsaf I (costruita intorno al 2490 a.C.). A segnalarlo, una nota del Ministero del Turismo e Antichità egiziano. I sepolcri in pietra sono riemersi durante scavi effettuati nell'area sul lato nord-orientale della piramide e sono stati ispezionati dal ministro del Turismo e delle Antichità egiziano, Khaled El-Enany, e dal segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, Mostafa Waziri.

Sebbene gli studiosi abbiano lavorato nel sito dallo scorso settembre, le tombe sono state scoperte solo all'inizio di questo mese vicino alla piramide a gradoni di Djoser. Per accedervi è necessaria una profonda discesa attraverso pozzi funerari, le cui pareti sono rivestite da geroglifici ben conservati raffiguranti animali sacri, materiali rituali come i sette oli sacri, offerte di cibo, iscrizioni geroglifiche, urne e simboli dell'aldilà. I giornalisti hanno dovuto essere calati nel pozzo funerario profondo con una fune su un argano.

Alcune delle tombe risalgono all'Antico Regno (2649 - 2150 a.C.), mentre altre risalgono al Periodo successivo, noto come Primo Intermedio (2150–2030 a.C.). Ogni tomba contiene il riferimento a titolature legate a governanti regionali, sacerdoti e alti funzionari di palazzo. La prima comprende un profondo pozzo funerario e una camera decorata con immagini che includevano altari e una rappresentazione del palazzo, nonché un sarcofago scolpito nel calcare. Nella nota diffusa dal ministero, si legge che il lungo corridoio porta a una camera appartenuta a un dignitario di nome "Iry", riccamente decorata. La seconda, caratterizzata da un pozzo funerario rettangolare, apparteneva, verosimilmente, alla moglie di un uomo di nome “Yaret”. 

La terza camera di sepoltura è stata attribuita a un sacerdote e purificatore, “Pepi Nefhany”, il cui pozzo funerario è profondo sei metri. Un quarto pozzo, della stessa misura, sembrerebbe essere stato costruito per una donna di nome “Petty”: "l'unica responsabile dell'abbellimento del re e sacerdotessa di Hathor". La quinta tomba dovrebbe essere stata allestita per un uomo di nome “Henu”, "sorvegliante e supervisore della casa reale" ed è costituita da un pozzo funerario rettangolare profondo sette metri. All’interno delle tombe gli archeologi hanno trovato più di 20 sarcofagi, oltre a numerose figurine, barche di legno, ceramiche, maschere e altri manufatti. Gli scavi sono ancora in corso. Quali altri misteri svelerà l'antica città del morti?


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L’origine del pugnale di ferro meteoritico del faraone Tut diventa sempre più enigmatica. Secondo gli scienziati la tecnologia per realizzarlo non era ancora in uso durante la XVIII dinastia egizia, ma è testimoniata da reperti di migliaia di anni prima in Anatolia…


L’origine del pugnale di ferro meteoritico di Tutankhamon diventa sempre più enigmatica. Secondo gli scienziati la tecnologia per realizzarlo non era ancora in uso durante la XVIII dinastia egizia, ma è testimoniata da reperti di migliaia di anni prima in Anatolia… 

a cura della redazione, 20 febbraio

Chi forgiò e come il pugnale di ferro trovato nella tomba di Tutankhamon? Ma soprattutto quando? Uno studio del 2016 aveva confermato l'origine meteoritica del metallo utilizzato, ma sono rimaste domande sul tipo di meteorite da cui proveniva e su come fosse stato lavorato. È qui che entra in gioco il nuovo studio, pubblicato questo mese su “Meteoritics & Planetary Science”. Un team di ricercatori giapponesi, guidati da Takafumi Matsui del Chiba Institute of Technology, ha recentemente scansionato ai raggi X il pugnale, scoprendo prove che testimoniano l’uso di tecniche che all’epoca non erano comuni in Egitto. Da dove viene dunque questo pugnale?

LO SAPEVI CHE - Il pugnale di Tutankhamon è costituito da una lama di ferro metallico a doppio taglio e da un’elsa fatta principalmente d’oro. La lama mostra una superficie metallica grossolanamente lucidata con lucentezza debole e sottili graffi. L’elsa ha cinque fasce larghe, che sono decorate con pietre come lapislazzuli, corniola e malachite. Nelle porzioni d’oro tra le fasce decorate, vengono creati motivi a forma di diamante e ondulati con grani d’oro fini di circa 0,5 millimetri. Queste pietre e grani d’oro sono legati alla superficie dell’oro. L’elsa ha un pomo di cristallo fissato alla base d’oro da diversi spilli d’oro. La guaina non ha materiali accessori. Il motivo sul fodero è inciso su lamina d’oro. 

Tutti i risultati ottenuti indicano un’origine poco chiara per la lama meteoritica scoperta tra le spoglie della tomba di re Tut (XVIII dinastia egizia - 1361–1352 a.C.). Primo elemento a infittire il mistero la sua impugnatura d’oro, che sembra essere stata realizzata con intonaco di calce, un materiale adesivo che non fu utilizzato in Egitto fino a molto tempo dopo, durante il periodo tolemaico (305–30 a.C.), ma che all’epoca era già utilizzato altrove. Secondo i ricercatori questo indica una sua origine straniera. Quindi chi lo forgiò conosceva già questa tecnica e l'esemplare depositato accanto al copro di Tutankhamon resta un unicum in tutto l'Antico Egitto. Perché?

LO SAPEVI CHE - Le macchie nere della lama sono chimicamente distinte dalle aree lisce e metalliche. Il contenuto medio di Fe e Ni delle macchie nere è leggermente inferiore a quello delle porzioni lisce e metalliche. La mappatura elementare del Ni sulla superficie della lama mostra disposizioni a bande discontinue in punti con simmetria "cubica" e larghezza di banda di circa 1 mm, suggerendo il modello Widmanstätten.

Per risolvere il puzzle, gli scienziati hanno mappato la struttura elementare della lama, rivelando concentrazioni di ferro, nichel, manganese e cobalto. Dopo aver escluso che le macchie annerite presenti sul pugnale fossero ruggine, hanno tracciato la presenza di zolfo, cloro, calcio e zinco. Hanno scoperto che si tratta di solfuro di ferro. Altrettanto interessante, quanto la composizione degli elementi presenti, è stato osservare la loro distribuzione. La lama del meteorite aveva una trama tratteggiata nota come modello Widmanstätten. Si tratta di un effetto presente in alcuni meteoriti metallici causato dal modo in cui il nichel è distribuito in essi. La presenza di tale struttura nel pugnale di Tutankhamon indica che era costituito da un’ottaedrite, una struttura intrecciata propria dei meteoriti ferrosi, che richiede però un trattamento speciale.

LO SAPEVI CHE - Le ottaedriti devono il loro nome alla struttura cristallina i cui piani sono paralleli a quelli di un ottaedro. Avendo otto facce opposte e parallele tra loro, ci sono solo 4 piani nella loro struttura intrecciata. Questi piani sono costituiti da cristalli piatti di kamacite detti lamelle. Tale cristallizzazione delle leghe metalliiche è avvenuta grazie al lentissimo periodo di raffreddamento all’interno dell’asteroide progenitore. Una volta tagliato il meteorite, i cristalli appaiono sulla superficie come bande. Le bande hanno dimensioni che possono variare da circa 0,2 millimetri a 5 centimetri e formano quella che è più comunemente detta struttura di Widmanstätten. In realtà fu G. Thomson, un geologo inglese che viveva a Napoli, a pubblicare per primo questa scoperta nel 1804. Thomson scoprì queste figure mentre stava trattando con l’acido nitrico una meteorite di Krasnojarsk allo scopo di pulirla dalla ruggine. Improvvisamente si accorse che l’acido aveva fatto emergere dal metallo intricati disegni mai visti prima. 

Assodato che l’alta qualità di tale oggetto indica una particolare abilità di lavorare il ferro meteoritico, tuttavia, il suo metodo di produzione rimane poco chiaro. Tra i numerosi processi per fabbricarlo viene esclusa la lavorazione a freddo. Il meteorite non è stato tagliato e lucidato. Anche la lavorazione a caldo, con fusione ad alta temperatura e successiva colata non è possibile. Resta solo l'ipotesi del riscaldamento a bassa temperatura e successiva forgiatura. La struttura ottaedrica rilevata nel ferro dell’antico pugnale egizio, infatti, sarebbe scomparsa se fosse stato riscaldato a una temperatura molto elevata. Una teoria confermata dalla presenza di depositi di troilite. 

Ora, il più antico pugnale di ferro meteoritico, noto sino ad oggi, è stato trovato a Alacuhöyük, nell'odierna Turchia. Questo pugnale risale alla prima età del bronzo, circa 2300 a.C., e fu ritrovato in un contesto funerario. Tale scoperta suggerisce che la tecnologia per lavorare il ferro meteoritico per creare oggetti complessi abbia almeno 4300 anni e che già allora, se non prima, era conosciuta in Anatolia, dove in seguito è stata sviluppata la fusione del ferro. Il pugnale di Alacuhöyük, però, è fortemente corroso, rendendo difficile lo studio di come sia stato fabbricato. La lama del pugnale di Tutankhamon, al contrario, è ben conservata e ha offerto finalmente l’opportunità agli scienziati di certificare l’esistenza di tale tecnica di lavorazione, ma in un luogo, l'Egitto dove non era praticata, o per lo meno non se ne ha traccia, salvo nel caso del pugnale del giovane faraone.

SCOPRI IL MONDO DI FENIX - Il Mensile sui Misteri della Storia e del Sacro - a destra FOTO ©British Museum 

   
 Le relazioni con l'Anatolia e i faraoni della XVIII Dinastia, 
con particolare attenzione ad Akhenaton e Tutankhamon sono dovute a una conoscenza 
da parte dei faraoni di quel periodo di una antica relazione con la remota regione turca.
 È stato dimostrato dalla ricerca genetica, difatti, che le mummie egizie nobiliari dai capelli rossi erano individui i cui antenati provenivano dall'Anatolia 
in una migrazione avvenuta millenni prima. 
Un dato che probabilmente i sacerdoti di Eliopoli conoscevano, 
 di cui i faraoni della XVIII Dinastia vennero a conoscenza 
e che spiegherebbe molti enigmi associati ad Akhenaton e Tuthankhamon
Il direttore di FENIX, Adriano Forgione, ne ha parlato su FENIX n.107 (settembre 2017). 
Le analisi sul ferro meteorico del pugnale di Tuthankamon sono invece pubblicate su FENIX n.93 mentre l'analisi del DNA delle mummie egizie dai Capelli rossi è su FENIX n.117 e n.120.


Sebbene l’analisi chimica non offra indizi precisi, lo studio comparato di una serie di tavolette di argilla di 3.400 anni fa, note come Lettere di Amarna, che documenta attività diplomatiche nell’Antico Egitto a metà del XIV secolo a.C., sembra essere la pista giusta da seguire per comprendere cosa accadde. Le tavolette sono incise in accadico e furono scoperte lungo il fiume Nilo. Menzionano un pugnale di ferro in una guaina d’oro, presumibilmente non un accessorio comune all’epoca, che fu donato al nonno di Tutankhamon, Amenhotep III (1417–1379 a.C.), da Tusratta, re di Mitanni, quando il faraone sposò sua figlia, la principessa Taduhepa. È possibile quindi che il pugnale provenga dal sud-est dell’Anatolia, e che re Tut lo abbia ereditato poiché è stato tramandato attraverso la sua famiglia. Resta un mistero quando e da chi fu fabbricato...


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Scheletri ricomposti, custoditi in tombe di pietra, svelano una tecnica post mortem peruviana, legata ad antiche credenze dei popoli del nord delle Ande, presenti anche in Egitto…


a cura della redazione, 5 febbraio

La manipolazione post mortem di corpi umani è documentata in molte regioni del mondo, compreso il Sud America. Recenti ricerche archeologiche sul campo nella valle del Chincha, in Perù, aggiungono a questo catalogo quasi 200 esempi di infilatura di vertebre umane su pali di canne. Un team di ricercatori, guidato da Jacob Bongers, dell’Università dell’East Anglia, ne ha trovato 192 esemplari custoditi in tombe di pietra. Si tratta di resti modificati, che rappresentano un preciso processo sociale. Tale manipolazione, infatti, riflette la volontà di mantenere una relazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, secondo antiche credenze. La datazione al radiocarbonio, però, indica i perni risalgono al periodo coloniale, tra il 1450 e il 1650 d.C., quando gli europei saccheggiavano le tombe del popolo Chincha, la cui popolazione contava fino a 30.000 abitanti, tra il 1000 e il 1400 d.C.. 

È plausibile ipotizzare che i resti dei defunti siano stati recuperati dopo un saccheggio e ricomposti, ma non si può escludere che la pratica fosse antecedente e che sia stata semplicemente rispettata dopo l’invasione straniera. Coloro che sopravvissero alla colonizzazione potrebbero aver infilato le ossa sparpagliate dei loro cari sulle canne, nel tentativo di ricostruire le sepolture profanate. L’analisi dei singoli perni, ha mostrato che la maggior parte delle vertebre sovrapposte apparteneva a una sola persona, anche se alcune erano incomplete e le ossa sembra siano state infilate fuori ordine. Per gli studiosi, questo mostrerebbe che le ossa sono state comunque prelevate dopo che i corpi si erano decomposti; ma non sono stati in grado, al momento di stabilire se la decomposizione facesse parte di un rituale più antico. 

Le vertebre su perno sono state documentate all'interno di 88 chullpa. Tali tombe hanno attributi architettonici variabili. Alcune sono sotterranee, altre sono costruite con pietra di campo, adobe e tapia (fango versato) e presentano aperture, prove di coperture e piattaforme interne, possibilmente per l’esposizione di resti umani e offerte. All’interno delle sepolture sono stati rinvenuti anche tessuti molli. Le analisi bioarcheologiche dei chullpa sotterranei hanno rivelato persino resti mummificati e molte pupe di insetti, la cui presenza nelle tombe suggerisce che i corpi dei defunti sano stati esposti a un processo di scarnificazione prima della sepoltura. Un esempio di comportamento ritualizzato che testimonia antichi culti ancestrali. 

È altrettanto possibile ipotizzare che i popoli indigeni abbiano recuperato resti umani, come capelli e unghie, per ricostituire nuove immagini di culto, che potrebbero aver funzionato come sostituti di effigi. Certo è che, averne trovate 192 e il fatto che siano così diffuse su quel lembo di terra - le troviamo in tutta la Valle dei Chincha - indica che più persone hanno agito in modo condiviso, con una pratica che sembra sia stata considerata da un intero gruppo sociale il modo più appropriato di interagire con l'Adilà. 

FOTO ©Adriano Forgione

     
  «Questo rituale ricorda la ricomposizione del corpo di Osiride tra gli Egizi. L'impiego delle vertebre impilate in questo rituale trova, difatti, corrispondenza allegorica nel mondo antico associato al simbolismo dello Djed, la colonna dorsale del dio Osiride, simbolo di Giustizia, Stabilità e Vita Eterna. In quanto amuleto legato alla vittoria sulla morte è relazionato alla manifestazione di colui che è ponte tra Cielo e Terra. La resurrezione di Osiride, infatti, nella forma del giovane dio solare Horus, suo figlio, è un simbolismo “kundalinico”, l’energia di resurrezione che nell’Induismo è correlata alla manifestazione del Corpo Glorioso attaverso l’attivazione dei 7 Chakra lungo la colonna vertebrale», spiega Adriano Forgione, direttore della rivista Fenix, esperto di Misteri della Storia e del Sacro.


Qual è il rapporto tra decomposizione e manipolazione del corpo post mortem? Secondo lo studio le parti del corpo del defunto continuavano a vivere ben oltre la morte biologica. Recenti ricerche sul aDNA (DNA antico) dei resti di una delle tombe suggerisce che provenissero da individui non locali. I dati sull’intero genoma sono stati raccolti da campioni di denti associati a due crani, trovati disarticolati.

Ovviamente non è stato possibile stabilire la relazione tra questi individui campionati per l’analisi genetica e le otto vertebre sui perni trovati nel chullpa. Tuttavia, gli studiosi hanno ipotizzato che si tratti di individui geneticamente più simili ai popoli antichi della costa nord peruviana. Si può supporre che il loro arrivo possa aver creato comunità cosmopolite, determinando nuove relazioni socio-politiche, che hanno reso necessaria una nuova forma di pratica funeraria: l’inserimento di pali di canne attraverso vertebre non locali. 

Da questo punto di vista, le vertebre sui pali potrebbero aver incarnato, all’interno dei chullpa, differenze sociali tra locali e no. In alternativa, anche le popolazioni non locali avrebbero potuto portare con sé le vertebre sui pali a Chincha. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori analisi genetiche e isotopiche stabili per comprendere le origini e le identità degli individui selezionati per questa pratica. Da non sottovalutare, però, il fatto che il mantenimento dell’integrità dei cadaveri era fondamentale anche per le società al di fuori delle Ande. 

La “ricostruzione” di corpi depredati e disaggregati non era limitata al Sud America. Una pratica simile è stata riscontrata in Egitto. Un esempio lo troviamo nel sito di Kellis, a Ismant el-Kharab nell’oasi egiziana di Dakhle, occupato dal periodo tolemaico (332–30 a.C.) fino al 400 d.C., dove le mummie sono state depositate in camere tombali dotate di aperture, come nel caso dei chullpa di Chincha. Uno studio del 2004 documenta anche qui l’uso di bastoncini di legno, resina e lino per ricostruire i corpi, presumibilmente perturbati a seguito di un saccheggio. Le parti smembrate erano state steccate utilizzando costole a foglia di palma, che sono state anche frequentemente inserite nelle colonne spinali. Pur dovendo essere cauti nel tracciare questo confronto interculturale, le somiglianze tra i casi andini e quelli dell'Antico Egitto sono sorprendenti, poiché rivelano similitudini in un lasso di tempo che non corrisponderebbe con l'era coloniale in Perù e a una distanza di migliaia di chilometri  tra due culture separate da un oceano.


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Una missione tedesco-egiziana ha portato alla luce una collezione di enormi pezzi di calcare appartenenti a una coppia di sfingi reali, nonché i resti di pareti e colonne decorate con scene festive e rituali a Luxor...


Ahram Online, 13 gennaio 

Una coppia di sfingi calcaree e pezzi di pareti e colonne decorate con scene festive e rituali, sono stati portati alla luce nel tempio di Amenhotep III di Luxor da un team di ricercatori tedesco-egiziani guidati dall'archeologo Hourig Sourouzian. Mostafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità ha detto che le colossali sfingi, che misuravano circa 8 metri di lunghezza, sono state trovate semi sommerse nell’acqua, sul retro dell’ingresso del terzo pilone, poste presumibilmente all’inizio del percorso processionale che porta alla Corte del Peristilio. Le loro teste raffigurano Amenhotep III che indossa il copricapo a strisce di nemes, la barba reale e un ampio colletto intorno al collo. 

La pulizia del calcare ha rivelato l’iscrizione “l’amato di Amon-Ra" su uno dei pettorali. Le basi delle colonne e i blocchi di fondazione trovati nella parte meridionale della sala ipostila del tempio indicano che la struttura era più grande e aveva più colonne di quanto si pensasse in precedenza, mentre le decorazioni murali in arenaria mostrano immagini della festa giubilare di Heb-sed di Amenhotep III. Basi di colonne e blocchi di fondazione nella metà meridionale della sala ipostila mostrano che questa sala era molto più grande di quanto si pensasse e con più colonne. La missione ha anche scoperto tre busti e tre parti inferiori di statue della dea leonessa Sekhmet in granodiorite sulla facciata della Corte Peristilio e nella Sala ipostila del tempio. Questi pezzi verranno riassemblati con altri trovati in precedenza nel sito e saranno esposti nel tempio.


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Gli archeologi hanno portato alla luce due tombe con resti umani con lingue d'oro nel sito archeologico di El-Bahnasa nel governatorato di Minya nell'Alto Egitto. La scoperta è stata fatta durante i lavori di scavo effettuati da una missione archeologica spagnola dell'Università di Barcellona e dell'IPOA. All'ingresso della prima tomba, i ricercatori hanno trovato due serie di resti umani i cui crani erano stati dotati di lingue d'oro. All'interno di questa tomba, aperta e saccheggiata nell'antichità, è stato ritrovato un grande sarcofago in pietra calcarea con coperchio a forma di donna. La seconda tomba, invece, era ancora sigillata...


Ahram Online, 5 dicembre

Gli archeologi hanno portato alla luce due tombe con resti umani con lingue d'oro nel sito archeologico di El-Bahnasa nel governatorato di Minya nell'Alto Egitto. La scoperta è stata fatta durante i lavori di scavo effettuati da una missione archeologica spagnola dell'Università di Barcellona e dell'IPOA. All'ingresso della prima tomba, i ricercatori hanno trovato due serie di resti umani i cui crani erano stati dotati di lingue d'oro. All'interno di questa tomba, aperta e saccheggiata nell'antichità, è stato ritrovato un grande sarcofago in pietra calcarea con coperchio a forma di donna. La seconda tomba, invece, era ancora sigillata. Conteneva un sarcofago in pietra calcarea con coperchio a forma di uomo, due nicchie con vasi canopi e più di 200 manufatti, tra cui amuleti, perline e statuine ushabti di maiolica turchese. Le tombe sono sembra appartengano alla XXVI dinastia, tra il 688 e il 525 a.C., che è anche chiamata periodo Saita, dal nome della capitale Sais nel delta occidentale del Nilo. La missione opera nell'area di El-Bahnasa dal 1992, guidata da Maite Mascort e Esther Pons Melado. In questi anni sono stati rinvenuti diversi reperti, tra cui una collezione di epoca saita, greco-romana e copta.


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Gli archeologi hanno scoperto quello che ritengono essere uno dei "templi del sole" perduti in Egitto, risalente alla metà del XV secolo a.C. ...


CNN, 17 novembre 

Gli archeologi hanno scoperto quello che ritengono essere uno dei "templi del sole" perduti in Egitto, risalente alla metà del XV secolo a.C. Il team ha scoperto i resti sepolti sotto un altro tempio ad Abu Ghurab, circa 30 chilometri a sud del Cairo, ha detto alla Galileus Web il co-direttore della missione Massimiliano Nuzzolo, assistente professore di egittologia presso l’Istituto per le culture mediterranee e orientali dell’Accademia polacca delle scienze a Varsavia. 

La scoperta di Nuzzolo e del team è stata protagonista di una puntata di “Lost Treasures of Egypt” di National Geographic. Nel 1898, gli archeologi che lavoravano nel sito scoprirono il tempio del Sole di Nyuserra, noto anche come Neuserre o Nyuserre, il sesto re della V dinastia, che governò l'Egitto tra il 2400 e il 2370 a.C.. Le scoperte fatte durante l’ultima missione suggeriscono che sia stato costruito sopra i resti di un altro tempio. 

UN TEMPIO SOLARE SOTTO QUELLO DI NIUSERRE - Ne parliamo in modo approfondito su FENIX n° 160, in un articolo a cura di Robert Bouval, che ci spiega perché il calendario egizio sia da considerarsi il lascito della legge cosmica di Maat, introducendoci al sistema religioso dei cicli cosmici, dal sotiaco al precessionale, in un preciso gioco di corrispondenze tra il sud nilotico e l'est astronomico, grazie al rispecchiamento tra Nilo terrestre, che scorre da sud a nord, e il Nilo celeste (la Via Lattea), che scorre da est a ovest.

Gli archeologi del XX secolo avevano scavato solo una piccolissima parte di questo edificio in mattoni di fango sotto il tempio in pietra di Nyuserra e avevano concluso che questa era una fase di costruzione precedente. I nuovi ritrovamenti dimostrano che si trattava di un edificio completamente diverso, eretto prima di Nyuserra. I reperti comprendono sigilli incisi con i nomi dei re che regnarono prima di lui, un tempo usati come tappi per giare, nonché le basi di due colonne in calcare, che facevano parte di un portico d’ingresso, e una soglia in pietra calcarea. La costruzione originaria era interamente realizzata in mattoni di fango. 

La squadra di Nuzzolo ha anche trovato “decine di vasi pieni di fango rituale, che veniva utilizzato solo in specifici contesti religiosi. La ceramica è stata datata alla metà del XV secolo a.C., una o due generazioni prima”. Il monumento in mattoni di fango “era di dimensioni impressionanti”, ha detto Nuzzolo, ma Nyuserra lo distrusse ritualmente per costruire il suo tempio del Sole. Indirettamente, lo scopo principale del tempio era quello di essere il luogo per la deificazione del re vivente. Fonti storiche suggeriscono che furono costruiti in totale sei templi del Sole, ma solo due erano stati portati alla luce in precedenza. Da queste fonti sappiamo che i templi del Sole furono tutti costruiti intorno ad Abu Gharab. Quello di Nyuserra ha una disposizione molto simile all’edificio in mattoni di fango, ma è più grande e fatto di pietra, materiale meno deperibile. Lo scavo, ancora in corso, fa parte di una missione congiunta dell'Università degli Studi di Napoli L’Orientale e dell’Accademia polacca delle Scienze.


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