Dopo essere state separate per 3.000 anni, la scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima...


a cura della redazione 30 giugno

Dopo essere state separate per 3.000 anni, sepolte in due distinte fosse sacrificali nel sito archeologico di Sanxingdui, nella Cina sud occidentale, una enigmatica scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, dissotterrata lo scorso giugno, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima. La statua, in bronzo, era stata fusa in tre parti poi saldate insieme: una base a urna; la parte centrale con la testa antropomorfa con occhi, zanne e corna sporgenti, su un corpo di serpente; e sopra la testa uno zun, un recipiente per bere, a forma di tromba di cinabro. Le tre sezioni combinate costituiscono una scultura alta più di un metro e mezzo che rappresenta una figura mitologica diversa dalle consuete iconografie del regno Shu dell'età del bronzo, cui si pensa appartenga. Gli archeologi ipotizzano si tratti della rappresentazione di una divinità. Quale non è ancora chiaro.

Il corpo serpentino, girato all'indietro, sembra compiere una torsione ascensionale che riflette simbolicamente l'importanza dell'elemento sacrificale nell'evoluzione spirituale di chi nasce a nuova vita, dopo la morte. Inoltre, la figura ha cinque ciocche di capelli ed è unica nel suo genere. Le le altre sculture in bronzo, fino ad oggi rinvenute nel sito, mostrano capelli intrecciati o una sorta di chignon.

La parte con l'artiglio di uccello rinvenuta nel 1986 era chiaramente incompleta, ma gli studiosi non ne comprendevano la funzione né il verso in cui fosse utilizzata. osservandola, sembra la zampa di una creatura che indossa una "gonna aderente" con un motivo a nuvole, da cui emergono due artigli che stringono le teste di due uccelli dal collo lungo. Dopo essere stata esposta per anni a testa in giù al Museo di Sanxingdui, si è scoperto che mancava la sua metà anteriore: la "vita" della "gonna" si adatta perfettamente a un'appendice ricurva sul retro della statua scoperta di recente. 

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Scoperte originariamente alla fine degli anni '20, le rovine di Sanxingdui sono una delle più grandi scoperte archeologiche al mondo del XX secolo. Situate nella città di Guanghan, si ritiene che le rovine, che coprono un'area di 12 chilometri quadrati, siano i resti del regno di Shu, una civiltà che risale ad almeno 4.800 anni fa. All'inizio del 1986, gli archeologi hanno scoperto migliaia di preziose reliquie culturali nelle fosse 1 e 2, tra cui uno scettro d'oro e un albero sacro di bronzo, che hanno suscitato interesse in tutto il mondo. 

Un team congiunto di archeologi dell'Istituto di Ricerca sulle reliquie Culturali e Archeologiche della provincia del Sichuan, l'Università di Pechino, l'Università di Sichuan e altri istituti di ricerca, ha scavato altre sei fosse del sito dal 2020. Gli scavi tra marzo e agosto 2021 hanno portato alla scoperta di oltre 80 tombe antiche e più di 10 siti di rovine di abitazioni che risalgono alla dinastia Zhou occidentale (1046 a.C.- 771 a.C.) e al periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C. - 476 a.C.). Nello scavo più recente, gli archeologi hanno trovato 3.155 reliquie relativamente intatte, tra cui più di 2.000 oggetti in bronzo e statue. Finora, nel sito sono stati rinvenuti più di 50.000 oggetti di bronzo, giada, oreficeria, ceramica e avorio.

I ricercatori hanno descritto una scatola a forma di guscio di tartaruga in bronzo e giada come uno dei loro reperti più intriganti, data la sua forma distintiva, l'arte raffinata e il design ingegnoso. Sebbene non sappiamo a cosa servisse, presumono si tratti di un tesoro. Nella stessa fossa numero 8 i ricercatori hanno rinvenuto un altare di bronzo alto quasi un metro. Si pensa fosse utiilizzato per fare offerte al cielo, alla terra e ai loro antenati. Tracce, intorno alle fosse, di bambù, canne, semi di soia, bovini e cinghiali suggeriscono che questi fossero tutti offerti come sacrifici.


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Una gigantesca ondata di immigrazione durante l'età del bronzo sostituì la maggior parte della popolazione locale. Ma furono le donne a guidare questo cambiamento…


a cura della redazione, 8 febbraio 

Combinando l’archeologia con lo studio del DNA antico dei resti umani dal sito di Links of Noltland, nella remota isola settentrionale di Westray, un team internazionale di genetisti e archeologi delle Università di Huddersfield e di Edimburgo, hanno dimostrato che le Orcadi hanno subito un’immigrazione su larga scala durante la prima età del bronzo, che ha sostituito gran parte della popolazione locale. I nuovi arrivati furono probabilmente i primi a parlare lingue indoeuropee e portarono antenati genetici derivati in parte da pastori che vivevano nelle steppe a nord del Mar Nero. Una fotografia che, a primo sguardo, rispecchia quello che stava accadendo nel resto della Gran Bretagna e in Europa nel terzo millennio a.C.. 

Eppure, i ricercatori hanno scoperto un’affascinante differenza che rende le Orcadi altamente distintive. In gran parte dell’Europa, l’espansione dei pastori alla vigilia dell’età del bronzo era tipicamente guidata da gruppi locali di uomini. Nelle Orcadi, invece, gli scienziati hanno dimostrato che i nuovi arrivati dell’età del bronzo erano principalmente donne, mentre i lignaggi maschili della popolazione neolitica originaria sopravvissero per almeno altri mille anni, cosa che non si vede da nessun’altra parte. Questi lignaggi neolitici, tuttavia, furono sostituiti durante l’età del ferro e oggi sono incredibilmente rari. Lo studio verrà pubblicato a fine febbraio su PNAS.

Ma perché le Orcadi erano così diverse? Il dottor Graeme Wilson e Hazel Moore della EASE Archaeology sostengono che la risposta potrebbe risiedere nella stabilità a lungo termine e nell’autosufficienza delle fattorie delle Orcadi, rispetto alla recessione a livello europeo, che colpì verso la fine del Neolitico quelle terre. Ciò implica che le Orcadi erano molto meno insulari di quanto si pensasse e che ci fu un lungo periodo di negoziazione tra i maschi indigeni e le nuove arrivate dal sud, nel corso di molte generazioni. “Questo dimostra che l’espansione del terzo millennio a.C. in tutta Europa non è stata un processo monolitico, ma è stato più complessa e varia da luogo a luogo”, spiega in un comunicato il dottor George Foody, uno dei ricercatori principali del progetto dell’Università di Huddersfield. I risultati sono stati sorprendenti sia per gli archeologi che per i genetisti del team, anche se per ragioni diverse: gli archeologi non si aspettavano un’immigrazione su larga scala, mentre i genetisti non prevedevano la sopravvivenza dei lignaggi maschili del Neolitico. 

Il direttore dell’Università del Centro di Ricerca sulla Genomica Evolutiva, il professor Martin Richards, aggiunge nello stesso comunicato: “Questa ricerca mostra quanto dobbiamo ancora imparare su uno degli eventi più importanti della preistoria europea: come sia finito il Neolitico”. La ricerca è stata pubblicata dalla Gazzetta ufficiale della National Academy of Sciences (NAS) ed è intitolata “DNA antico ai confini del mondo: l'immigrazione continentale e la persistenza dei lignaggi maschili neolitici nelle Orcadi dell'età del bronzo”, a cura di Katharina Dulias, George Foody, Pierre Justeau et al. Gli scavi, finanziati dall'Historic Environment Scotland, fanno parte di un programma di borsa di studio del dottorato Leverhulme Trust assegnato al professor Richards e alla dottoressa Maria Pala.


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Viali funerari di 4.500 anni fa sono stati identificati nell'Arabia Saudita nordoccidentale. I viali corrono lungo migliaia di tombe di pietra a forma di ciondolo e coprono circa 600 chilometri...


a cura della redazione, 17 gennaio 

I ricercatori della Royal Commission for AlUla in collaborazione con l’Università dell’Australia occidentale hanno scoperto una rete di strade lunga 170 chilometri in Arabia Saudita, che risalirebbe ad almeno 4.500 anni fa. I viali, che si ipotizza possano essere stati utilizzati per processioni rituali, sono fiancheggiati da antiche tombe a forma di ciondolo, che sembrano avere delle “code”, e  da tumuli ad anello circondati da un muro alto fino a due metri. L’indagine archeologica ad ampio raggio è stata condotta nell’ultimo anno, utilizzando immagini satellitari, fotografie aeree, rilievi del suolo e scavi per individuare i reperti. 

Dai risultati pubblicati sulla rivista The Holocene a dicembre, risulta che i “viali funebri” si estendono su grandi distanze nelle contee arabe nord-occidentali di Khaybar e Al-‘Ula, una vasta area che comprende 22.561 chilometri quadrati e contiene numerosi resti archeologici risalenti a migliaia di anni fa. Una zona dove, secondo Live Science, con l’ausilio di Google è stato identificato un numero presunto di tombe pari a 1 milione. Il team ha potuto per ora verificarne l’esistenza di circa 18.000 lungo i viali funerari, ma solo 80 di queste al momento  sono state campionate o scavate per la ricerca. 

Utilizzando la datazione al radiocarbonio, i ricercatori hanno determinato che un gruppo concentrato di campioni risaliva tra il 2600 e il 2000 a.C., sebbene le tombe sembra siano state riutilizzate fino a circa 1.000 anni fa. Intorno ad al ‘Ayn e al Wadi brevi tratti di viali sono interamente asfaltati e disseminati di una caratteristica roccia rossa, là dove dal pavimento dell’oasi si sale sugli altipiani circostanti dei campi di lava. Entrambi i tratti sono associati a pendenti particolarmente grandi. La stragrande maggioranza dei "ciondoli" lungo i viali funerari sono orientati perpendicolarmente al percorso, indipendentemente dal suo orientamento. Raramente, e senza alcuna relazione distinguibile con le loro dimensioni o la morfologia, sono orientati obliquamente. La posizione della coda dei tumuli rispetto ai viali, inoltre, suggerisce una loro funzione di guida, come una cometa, verso il monumento funerario, con una distanza media l’uno dall’altro tra i 4 e i 10 metri.

Le caratteristiche più sorprendenti di questi viali funerari sono i loro collegamenti a e tra sorgenti d’acqua perenni e il notevole numero di monumenti funebri costruiti attorno a molte oasi, in particolare quelle ai margini dell’Harrat Khaybar. Intervistato dalla CNN, Mat Dalton, autore principale dell’articolo, ritiene che “la rete di viali avrebbe facilitato i viaggi a lunga distanza e seguendo queste reti, le persone avrebbero potuto percorrere una distanza di almeno 530 chilometri da nord a sud”. Ci sono accenni di tali strade nell’Arabia Saudita meridionale e nello Yemen. 

Gli archeologi non sanno molto dei rituali legati a questi luoghi. I resti umani all’interno delle tombe sono stati trovati in cattive condizioni e alcune tombe sono state derubate, lasciandole prive di manufatti. Il ricercatore Eid Al-Yahya intervistato da Arab News, ha sottolineato però che ne esistono più di 100 modelli diversi a  Khaybar, conosciuto anche come Harat Al-Nar, ognuno con una forma architettonica distintiva, dove furono sepolti singoli individui o piccoli gruppi, con i corpi deposti in una posizione fetale. Poiché simili  monumenti non potevano essere aggiunti o allungati una volta che la coda e la testa dei “ciondoli” erano state costruite, i ricercatori ritengono siano stati progettati con un disegno ben preciso, pensando a una dimensione e una forma finali. Inoltre, i pendenti dello stesso tipo mostrano spesso raggruppamenti distintivi. Comunemente, coppie di dimensioni simili si fronteggiano lungo un viale, come gemelli orientati in parallelo, creando una sorta di “portale” visivamente impressionante.

“Queste tombe - spiega - simboleggiano le costruzioni fatte da persone che vivevano in prosperità, non in un deserto arido, e puntano verso il cielo, testimoniando una civiltà che aveva un’antica tradizione celeste”. Più o meno nello stesso periodo in cui furono costruite le tombe e i viali di Khaybar, gli antichi Egizi avrebbero costruito le loro piramidi, sempre che quelle della Piana di Giza non siano più antiche. In Arabia Saudita sono state trovate grandi strutture in pietra che risalgono a migliaia di anni prima e che non sembra abbiano ricevuto linfluenza neppure delle civiltà fiorenti in Mesopotamia, a nord dell’Arabia, dove troviamo grandi città e templi a forma di piramide, conosciuti come ziggurat.  Le strutture a forma di cancello chiamate mustatil furono costruite, infatti, 7.000 anni fa e potrebbero essere state utilizzate per un culto preistorico.


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