Un misterioso ominide di 1,5 milioni di anni fa cambia la storia dell’evoluzione umana.…


a cura della redazione, 3 febbraio

Israele e il Levante sono il ponte terrestre naturale tra l’Africa e l’Eurasia. Qui non erano mai state trovate ossa fossili di ominidi della profonda preistoria. Né, fino a poco tempo fa, erano state trovate prove di utensili arcaici. Ora però, nella rift valley del Giordano, a Ubeidiya, è stata scoperta una vertebra di ominide, decisamente sproporzionata, di almeno 1,5 milioni di anni, associata ad asce di tipo acheuleano relativamente avanzate. Nello stesso luogo sono stati trovati anche strumenti di pietra primitivi, che risalirebbero a 3,3 milioni di anni fa. Questo significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.

Nonostante gli scienziati abbiano stabilito che si tratti dell'osso di un nostro possibile antenato, il reperto risulta estremamente più grande rispetto a quello di un habilis erbaceo (simile a una scimmia) e sicuramente più grande anche degli erectus africani, come quello recuperato in Kenya, anni fa. Quello trovato vicino al Mar di Galilea sarebbe appartenuto a un bambino, ma è talmente “grosso” che gli studiosi ne ipotizzano una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri. Lo studio su questo fossile di ominide, il più antico in Israele, è stato pubblicato il 2 febbraio scorso su “Scientific Reports” da un team internazionale guidato da Alon Barash, della Facoltà di Medicina Azrieli dell’Università di Bar-Ilan.

Il frammento di scheletro è stato dissotterrato nel 1966, ma solo ora lo si è riconosciuto per quello che è in realtà, cambiando i paradigmi della storia dell’evoluzione umana. L’osso trovato a Ubeidiya, a nord di Israele, dimostrerebbe, per la prima volta, una migrazione a ondate di ominidi arcaici dall’Africa durante il Gelasiano, il periodo più arcaico del Pleistocene. A detta dei paleoantropologi, appartiene a un corpo morfologicamente di tipo bipede e proviene dalla parte bassa della schiena, nota anche come regione lombare. Dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base all’ossificazione. Il soggetto da cui proviene la vertebra non aveva finito di crescere. 

Come lo hanno stabilito? La vertebra preistorica non era completamente ossificata e proveniva da un ominide dall’altezza presunta di un metro e mezzo. Il suo peso complessivo sarebbe stato tra i 45 e i 50 chili. Prendendo a parametro l'ossificazione vertebrale dell'uomo moderno, gli studiosi in un primo momento hanno ipotizzato che il bambino del Pleistocene avesse dai 3 e ai 6 anni quando è morto, perché è a quell'età che termina in genere tale processo delle vertebre umane. Il che si tradurrebbe in dimensioni gigantesche inspiegabili. Secondo gli scienziati, potrebbe trattarsi di un modello di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte. Un tentativo di adattare i reperti al paradigma convenzionale per non stravolgere tutto? 

La storia dell’osso, inizia nel 1959, quando un membro del Kibbutz Afikim di nome Izzy Merimsky stava demolendo un terreno in preparazione per l’agricoltura. Improvvisamente l'uomo si accorse che la sua macchina stava portando alla luce ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Non sapevano cosa fossero, perché erano irrimediabilmente fuori dal contesto archeologico. Comunque, Merimsky chiamò le autorità. Gli scavi iniziarono nel 1960 e divenne chiaro che il sito era “profondamente” preistorico. Nel 1966, l’archeologo Moshe Stekelis portò alla luce la vertebra che avrebbe cambiato la storia dell’evoluzione umana. Ma non subito. Per qualche motivo l’osso fu messo in una scatola con la scritta “Homo?” – con il punto interrogativo – e dimenticata lì. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito, per capire se ci fosse un animale tropicale e se l’area era ghiacciata o no all’epoca. Fu allora che riscoprì quel pezzo di spina dorsale. Bastò uno sguardo perché capisse che non era una scimmia. Da allora iniziò un’incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. “Non era un Australopiteco, non un elefante, non un gorilla e neppure un tritone. Ha caratteristiche distinte. Era un ominide bipede e di corporatura molto robusta”, dice Barash su “Haaretz”. 

Datato 1,5 milioni di anni, l’osso è il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa. I più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia, con uno scarto temporale di circa 300.000 anni, il che dimostra l’esistenza di diverse ondate migratorie mai ipotizzate prima. Una scoperta che rende il nostro "lignaggio" sempre più torbido. Oggi per gli scienziati è palese, infatti, che il bambino arcaico trovato nella Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non fossero della stessa specie. Inoltre la cultura degli strumenti di pietra del Georgicus è stata catalogata come di tipo oldowan primitivo, e non acheuleano avanzato. Il che porta gli studiosi a ipotizzare che l’ominide di Ubeidiya provenga da un’ondata migratoria separata rispetto a quelle nel Caucaso. Da dove venisse il piccolo "gigante" resta un mistero.


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Con grande sorpresa degli archeologi nella città di Magdala, oggi conosciuta come Migdal, è stata trovata una seconda sinagoga, che si pensa risalga a 2000 anni fa, approssimativamente tra il 516 a.C. al 70 d.C., ma potrebbe essere più antica. È la prima volta, infatti, che due sinagoghe del periodo del Secondo Tempio vengono identificate in una sola città. Stiamo parlando della presunta città natale di Maria Maddalena, la controversa figura femminile che rimase con Gesù mentre affrontava la crocifissione e che fu la prima persona cui apparve dopo la sua risurrezione...


The Jerusalem Post, 12 dicembre

Con grande sorpresa degli archeologi nella città di Magdala, oggi conosciuta come Migdal, è stata trovata una seconda sinagoga, che si pensa risalga a 2000 anni fa, approssimativamente tra il 516 a.C. al 70 d.C., ma potrebbe essere più antica. È la prima volta, infatti, che due sinagoghe del periodo del Secondo Tempio vengono identificate in una sola città. Stiamo parlando della presunta città natale di Maria Maddalena, la controversa figura femminile che rimase con Gesù mentre affrontava la crocifissione e che fu la prima persona cui apparve dopo la sua risurrezione. La stessa che in diversi testi dell'era paleocristiana viene indicata "apostola" al pari di Pietro. Anche se gli archeologi non sono sicuri che le rovine ora chiamate Migdal appartengano davvero alla comunità menzionata nei testi antichi, la sua posizione corrisponde a queste descrizioni. Fondato nel II secolo a.C. all’inizio del periodo asmoneo, Migdal era un villaggio di pescatori. Nei testi biblici, la città è indicata come "Magdala Nunayya" o "Città dei pesci". Il nuovo centro religioso appena scoperto getta nuova luce su quell’antica comunità sulla sponda occidentale del Mar di Galilea. Dina Avshalom-Gorni, archeologa dell’Università di Haifa e co-direttrice degli scavi, suppone possa trattarsi di un edificio dedicato alla lettura e allo studio della Torah e alle riunioni sociali, per il suo stile più semplice rispetto alla sinagoga rinvenuta nel 2009. Costruita in basalto vulcanico, calcare e gesso, la seconda sinagoga appena scoperta è composta da una sala principale e da altre due stanze. Una delle stanze più piccole ospita una mensola in pietra che potrebbe aver contenuto i rotoli della Torah. Sono stati individuati anche sei pilastri, che probabilmente sorreggevono il tetto, e residui d’intonaco bianco che mostrano ancora decorazioni con disegni colorati. Il sito conteneva anche portacandele in ceramica, ciotole di vetro modellato, anelli e utensili in pietra usati per i rituali di purificazione. L’altra sinagoga è invece più grande e più riccamente decorata. I due centri religiosi si trovavano a poca distanza l’uno dall’altro in una sezione dell’antica città che ospitava bagni rituali ebraici. Non è chiaro se le due costruzioni si succedano nel tempo. Al momento prevale l’ipotesi che si tratti di strutture coeve, il che indicherebbe che Migdal era un centro abbastanza grande da aver bisogno di due sinagoghe quali di luoghi di incontro del quartiere e centri di apprendimento.


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