Le ultime scoperte a San Casciano dei Bagni testimoniano la fluida transizione delle matrici archetipali tradite dalla civiltà etrusca durante il processo di romanizzazione della penisola italica, annoverando il santuario toscano tra le oasi di pace e spiritualità durante la sanguinosa dialettica dei ultimi secoli avanti Cristo...


a cura della redazione, 8 novembre

Tra le colline sensei, protetti per 2.300 anni dal fango e dall'acqua termale di un antichissimo santuario, sono riemersi negli ultimi anni centinaia di oggetti della ritualità quotidiana. A ottobre, poi, dopo 14 settimane di scavo, in corrispondenza di un fregio taurino, dalla vasca sacra di San Casciano dei Bagni sono emerse anche due dozzine di statue più grandi a corpo intero, finemente lavorate, cinque delle quali alte quasi un metro. Un prezioso unicum archeologico, che testimonia la fluida transizione delle matrici archetipali tradite dalla civiltà etrusca durante il processo di romanizzazione della penisola italica, annoverando il santuario toscano tra le oasi di pace e spiritualità durante la sanguinosa dialettica dei ultimi secoli prima di Cristo. 

Gli Etruschi avevano costruito qui un santuario nel III secolo a.C., esteso in un complesso molto più ampio dai romani all'inizio del I secolo a.C. e infine chiuso verso il V secolo d.C.. Le vasche, sigillate da colonne rovesciate, hanno però custodito per oltre due milleni le effigi degli dei e gli ex voto lasciati da generazioni di fedeli. Il più grande corredo votivo della penisola Italica mai trovato. Da quando sono iniziati gli scavi, nel 2019, gli archeologi hanno trovato numerose offerte lasciate nel luogo sacro: figurine di bronzo e terracotta che rappresentano diverse parti anatomiche (polmoni, intestino, uteri, peni, braccia, gambe, orecchie) oltre a migliaia di monete (ne sono state ritrovate al momento 6.000). Gli ultimi ritrovamenti, paragonatI dal direttore generale del Museo, Massimo Osanna, al clamoroso ritrovamento della coppia di guerrieri di bronzo del V secolo a.C. al largo di Riace nel 1972, risalgono a un periodo compreso tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C..

Le acque calde e fangose hanno preservato questi antichi cimeli in un perfetto stato di conservazione. Tra le effigi spiccano una raffigurazione della dea Igea, con un serpente avvolto intorno al suo braccio, un nudo di Apollo e un giovane togato. Il culto di Igea era associato anticamente a quello del padre Asclepio (Esculapio), invocati per prevenire e curare malattie e danni fisici, simbolicamente associati al risanamento della salute persa. Le due divinità, espressione di uno stato di Coscienza, venivano raffigurate accanto a un serpente rappresentato ora nell’atto di dissetarsi in una coppa (il "Santo Graal" custodito e alimentato dal femminino sacro) ora avvolto attorno a un’asta o a un bastone retto dalla divinità ("indice" della potenziale elevazione verso l'Alto). Entrambi simboli della pacificazione tra copro e anima, del giusto nutrimento per realizzare il dominio sulle forze telluriche e sull'ombra, elevando l'essere da una posizione dormiente, orizzontale, ad un risveglio sapiente in verticale.

Una rinascita confermata dalla conformazione del luogo sacro, il cui ingresso ricorda simbolicamente un utero, enfatizzata dal potere immersivo dell'acqua vivificatrice, rievocato nei riti battesimali, verso il dominio delle acque infere, sulle quali il Cristo ha manifestato il potere di saper camminare (miracolo riportato in tre vangeli: da Marco 6,45-52, da Matteo 14,22-33 e dal Giovanni 6,15-21). E non è un caso che nelle civiltà tradizionalmente il termine Hyghieia, così come il termine salus, fossero usati per indicare la presenza dell’ordine divino nella polis e per analogia nella psiche. Così come lo stato di salus, in riferimento alla persona, indicava la presenza nell’anima del governo di Dio, la realizzazione di un intelletto sapiente e dell’immanenza della pace e della giustizia divine nei suoi veicoli, l’anima e il corpo.


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Una lastra di almeno 1500 anni fa è stata trovata nel kirkyard scozzese. Presenta una croce annodata all'interno di un cerchio che include teste di uccelli dal collo lungo sopra un animale scolpito, forse un cinghiale o un lupo. Intorno al bordo c'è un'iscrizione in ogham altomedievale...


a cura della redazione, 7 novembre

I resti di una lastra a croce scolpita dai Pitti con una rara iscrizione in lingua altomedievale sono stati scoperti nell'Old Kilmadock Kirkyard vicino a Doune, in Scozia. È una delle 30 iscrizioni in ogham al momento note, trovate in tutta la Scozia. La prima scoperta nella Forth Valley. È stata rivenuta nel 2019 da un gruppo di volontari dei Rescuers of Old Kilmadock (ROOK), ma solo a settembre di quest'anno gli archeologi sono stati in grado di scavare completamente la lastra, esponendone i bordi e i simboli. La pietra è alta 120 centimetri e larga 80 centimetri, con una parte superiore arrotondata. Sulla sua superficie è scolpita una croce intrecciata, le cui estremità sono formate da teste di uccelli con becchi ricurvi, astrazioni stilizzate che ricordano il pellicano, simbolo del sacrificio di Cristo. 

Kilmadock è uno dei cimiteri più antichi della Scozia centrale. Risale al IX secolo, ma la lastra a croce dei Pitti è antecedente. Fu eretta tra il 500 e il 700 d.C. su un tumulo che dominava la Rover Teith. Gli archeologi ritengono che all'epoca qui vi fosse un monastero. La presenza di caratteri ogham sulla lastra a croce suggerisce che i monaci potessero essere alfabetizzati. La dottoressa Kelly Kilpatrick, una storica e celtista specializzata in epigrafia, tenterà di decifrare l'iscrizione appena scoperta usando la fotogrammetria. Prima si dovrà sollevare l'intera lastra dal terreno. È infatti possibile che l'iscrizione continui tutto intorno la pietra, che purtroppo è molto fragile e frammentata. Saranno necessarie cure specialistiche per rimuoverla dal kirkyard, pulirla, asciugarla e sterilizzarla per eliminare i residui vegetali di muschio e radici, prima di rimettere insieme i frammenti. È possibile fare una donazione alla ROOK, un gruppo di volontari che vuole restaurare il più possibile Old Kilmadock.


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L'INAH annuncia l’interpretazione iconografica di un imponente rilievo rinvenuto nella zona archeologica della città sacra di Atzompa…

L'INAH annuncia l’interpretazione iconografica di un imponente rilievo rinvenuto nella zona archeologica della città sacra di Atzompa… 


a cura della redazione, 24 febbraio

I ricercatori dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH) hanno interpretato l’iconografia su un fregio in pietra calcarea e stucco in un complesso monumentale noto come “Casa del Sur” nel Messico meridionale. Il testo presenta glifi dell’iconografia zapoteca e mixteca, numeri e l’immagine di un quetzal che allude alla protezione soprannaturale e a un tempo senza tempo. Sono presenti anche figure di scimmie, giaguari e il quinconce, un disegno geometrico che simboleggia le quattro direzioni e il centro dell’Universo. 

Il potere religioso, politico e sociale che Atzompa ebbe nell’organizzazione della capitale zapoteca, Monte Albán, nel periodo tardo classico (600-900 d.C.), e gli importanti rapporti che instaurò con la regione mixteca, sono alcuni dei dettagli svelati nella recente interpretazione iconografica del grande fregio rinvenuto tre anni fa, in quel complesso monumentale nella regione di Oaxaca. Scoperta nella stagione di scavi 2018 dai membri del Progetto Archeologico Congiunto Monumentale di Atzompa, guidato dalla ricercatrice dell’INAH, Nelly Robles García, tale elemento architettonico è un esempio della scrittura zapoteca dell’epoca, elaborata in altorilievo su calcare e stucco. Secondo l’archeologo, il fregio, la cui lunghezza del segmento meglio conservato finora scoperto è di 15 metri - il che lo rende il più lungo testo scritto zapoteco esplorato e registrato nella valle - contiene una serie di glifi caratteristici dell’iconografia zapoteca e mixteca, tra cui quella dell’anno mixteco Lucertola (Chila). 

Per la posizione, sappiamo che si tratta di un messaggio o discorso di potere, associato alla funzione-uso dello spazio di questa residenza, un messaggio che si può percepire camminando lungo la strada che delimita la strada tra il Ballcourt principale del sito e della Piazza Cerimoniale A”, spiega Robles García nel comunicato stampa. Il ricercatore del Centro INAH di Oaxaca ha indicato che questo elemento è stato trovato incorniciato da doppie tavole scapolari sulle facciate Est e Nord della “Casa del Sur”. Gli zapotechi, sgomberando lo spazio, lo distrussero parzialmente e vi posero sopra una serie di stanze. Prima del suo abbandono depositarono anche una serie di vasi di grande formato e frammenti di urne, rinvenute sui pavimenti in stucco, forse con l’intento di demistificare gli spazi. Il fregio fa parte della penultima fase costruttiva della residenza, che è stata collocata intorno al periodo dell’occupazione Monte Albán IIIB-IV che, secondo la cronologia stabilita da Alfonso Caso, Ignacio Bernal e Jorge R. Acosta, tra il 650  e l’850 d.C, periodo di massimo apogeo del sito. 

Questo tipo di fregi è replicato nella parte meridionale della facciata principale, anche se purtroppo quel segmento mostra notevoli danni. Gli studiosi ritengono che il fregio completo misurasse circa 30 metri di lunghezza e che fosse posto lungo l’intera facciata orientale o principale, il che rende l’unità residenziale di alto pregio, non solo per Monte Albán ma per l’intera Valle di Oaxaca.   “Materiali come calcare e stucco richiedono un alto grado di specializzazione per la loro manipolazione e restauro, per cui il fregio della Casa del Sur di Atzompa è da considerarsi uno degli elementi più importanti tra le priorità di conservazione dell’Istituto”, sottolinea il ricercatore. Tale ornamento architettonico è un’importante manifestazione della visione cosmogonica degli zapotechi del periodo classico, che si riferisce al rapporto costante che esisteva tra la popolazione comune e le forze o elementi soprannaturali. Tutte le prove archeologiche rinvenute ad Atzompa supportano le argomentazioni per ipotizzare questa connessione. Le indagini sono ancora in corso e il ricercatore del Centro INAH di Oaxaca, César Dante García Ríos, sta lavorando nella parte settentrionale della residenza per definire i reperti riguardanti di un altro fregio presente in quello spazio, legato a immagini iconiche del potere mixteco.


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Nuovi affascinanti dettagli sono stati resi noti sulla collezione di oro , argento, gioielli, oggetti curiosi e tessuti sepolti nel sud-ovest della Scozia più di 1.000 anni fa.


The Scotsman, 17 dicembre

Nuovi affascinanti dettagli sono stati resi noti sulla collezione  di oro , argento, gioielli, oggetti curiosi e tessuti sepolti nel sud-ovest della Scozia  più di 1.000 anni fa. Verranno mostrati per la prima volta al pubblico sabato 25 dicembre dalla mostra del “Galloway Hoard” al National Museum of Scotland (NMS). Il tesoro , scoperto dai metal detector  nel 2014, contiene più di 100 oggetti. La sua peculiarità è il ripetersi del numero quattro, non solo negli strati di sepoltura, ma anche nel numero di bracciali e anelli che lo compongono, corredato da singolari incisioni che fanno riferimento ad altrettanti nomi, come se fosse stato deposto da quattro persone diverse intorno al 900 d.C.. Gli archeologi ritengono si tratti di quattro distinti proprietari, di variegata estrazione sociale, che potrebbero essersi uniti per seppellire questa spettacolare e profondamente mistica collezione culturalmente inestimabile dell'era vichinga. Il tutto corredato da una misteriosa iscrizione runica ancora da tradurre. Chi e perché avvolse nella lana questo tesoro? Secondo i ricercatori siamo di fronte a un tesoro ritualmente assemblato, che rappresenta quattro individui provenienti da diversi stati della Scozia. L’alto valore simbolico degli oggetti accuratamente nascosti ha messo in evidenza il profilo cultuale delle reliquie . Non sono stati assemblati di fretta. Di particolare rilievo un vaso di cristallo di rocca con un coperchio di lega di argento e oro, decorato con leopardi, tigri e simboli religiosi zoroastriani . Il che suggerisce che si tratti di un oggetto prezioso proveniente dall’Asia, ovvero dall’altra parte del mondo allora conosciuto. L’oggetto risalirebbe al 680-780 d.C. ed è probabile che sia stato importato lungo le vaste rotte commerciali dall’Asia attraverso la Russia. Misura solo circa cinque centimetri di altezza. I ricercatori ritengono che un tempo contenesse un profumo o un'altra pozione pregiata che potrebbe essere stata usata per ungere i re o nelle cerimonie religiose. Una scoperta davvero insolita: solo altri due vasi simili sono stati trovati tra i tesori vichinghi in Gran Bretagna e Irlanda, entrambi originari del continente. La superficie scolpita del cristallo di rocca del “Galloway Hoard”, sembra quella di un #capitello  di una #colonna  di cristallo in stile #corinzio . Un esemplare unico per la Gran Bretagna altomedievale , ma ci sono paralleli all'interno dell'Impero Romano, custoditi nella collezione Vaticana , dove ci sono diverse forme di colonne di cristallo  intagliato. Gli studiosi ritengono avesse 500 anni quando fu trasformato alla fine dell'VIII o all'inizio del IX secolo in una piccola ampolla  ricoperta d’oro. Il lavoro di restauro ha fornito anche un'altra interessante scoperta su questo vaso: un'iscrizione latina sulla sua base. Le lettere tradotte ne attribuirebbero la paternità al vescovo Hyguald , indicando una possibile provenienza di questo, come di altri oggetti del tesoro dalla Northumbria. Secondo Il dott. Martin Goldberg, responsabile della sezione di Archeologia Medievale presso NMS “Il tipo di liquido che ci aspetteremmo sarebbe qualcosa di molto esotico, forse un profumo dall’Oriente, come la seta che lo avvolge”. Studi futuri potrebbero essere in grado di trovare oligoelementi delle sostanze chimiche che hanno creato il liquido contenuto nel piccolo vaso.


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La nuova datazione al radiocarbonio di alcuni dei 10.000 monoliti di pietra nel sito archeologico di Sakaro Sodo, nel sud dell'Etiopia, indica che il più antico dei monumenti stele alti sei metri a forma di fallo è estratto, eretto e scolpito nel I secolo d.C., circa 1.000 anni prima di quanto si pensasse in precedenza. Nonostante la natura impressionante del sito archeologico, si sa poco sul perché o su come siano stati costruiti i monoliti...


Washington State University (WSU), 9 dicembre

La nuova datazione al radiocarbonio di alcuni dei 10.000 monoliti di pietra nel sito archeologico di Sakaro Sodo, nel sud dell'Etiopia, indica che il più antico dei monumenti stele alti sei metri a forma di fallo è estratto, eretto e scolpito nel I secolo d.C., circa 1.000 anni prima di quanto si pensasse in precedenza. Nonostante la natura impressionante del sito archeologico, si sa poco sul perché o su come siano stati costruiti i monoliti. Per l’archeologo Ashenafi Zena, autore principale dello studio ed ex ricercatore di dottorato della WSU ora presso la State Historical Society of North Dakota, e Andrew Duff, professore di antropologia alla WSU, le pietre nella zona di Gedeo variano per dimensioni, funzione e disposizione nel paesaggio, e alcune sono state scolpite con volti o altri disegni. I monumenti disposti in uno schema lineare possono aver commemorato il trasferimento di potere o un rito iniziatico, mentre si pensa che alcune delle pietre più recenti a Tuto Fela siano state utilizzate come segni di sepoltura. Le nuove date suggeriscono che i monumenti più antichi furono eretti all'incirca nello stesso periodo in cui furono introdotti nella regione l'addomesticamento degli animali e sistemi sociali ed economici più complessi. Oltre a spostare di un millennio la data della prima costruzione dei monoliti, i ricercatori hanno anche determinato dove gli antichi costruttori del sito probabilmente estraevano la pietra grezza per il progetto. Hanno anche identificato, per la prima volta, le prime fonti conosciute di manufatti di ossidiana che sono stati recuperati dai siti delle stele di Gedeo. Sorprendentemente, la maggior parte dell'ossidiana che i ricercatori hanno identificato a Sakaro Sodo proviene da circa trecento chilometri di distanza, nel nord del Kenya, dimostrando che le persone di quei luoghi ricavavano le loro materie prime attraverso lo scambio o il commercio.


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Sono iniziati i lavori post-scavo su un antico luogo di sepoltura vichingo nelle isole Orcadi, in Scozia. L’Historic Environment Scotland (HES) ha affermato che le tombe potrebbero far parte di un cimitero precedentemente sconosciuto. I resti umani sono stati scoperti nel 2015 sulla costa nord-orientale di Papa Westray. Gli scavi hanno rivelato una serie di reperti, tra cui una spada con il suo fodero, una tomba con armi e una rara sepoltura a forma di barca. La reliquia di ferro era molto corrosa, ma i raggi-X sono stati in grado di rivelare particolari decorazioni a nido d’ape delle guardie...


BBC, 8 dicembre

Sono iniziati i lavori post-scavo su un antico luogo di sepoltura vichingo nelle isole Orcadi, in Scozia. L’Historic Environment Scotland (HES) ha affermato che le tombe potrebbero far parte di un cimitero precedentemente sconosciuto. I resti umani sono stati scoperti nel 2015 sulla costa nord-orientale di Papa Westray. Gli scavi hanno rivelato una serie di reperti, tra cui una spada con il suo fodero, una tomba con armi e una rara sepoltura a forma di barca. La reliquia di ferro era molto corrosa, ma i raggi-X sono stati in grado di rivelare particolari decorazioni a nido d’ape delle guardie. Gli archeologi ritengono che le tombe di Papa Westray potrebbero appartenere alla prima generazione di coloni norvegesi sulle Orcadi. L’AOC Archaeology analizzerà le tombe per ottenere nuove informazioni sulla vita e la morte della comunità vichinga sulle isole scozzesi durante il X secolo attraverso  un programma di analisi ossea e la datazione al radiocarbonio. L’HES lavorerà con l'Ancient Genome Project per scoprire ulteriori informazioni genetiche. Un lavoro scientifico che potrebbe gettare nuova luce sugli antenati ancestrali di queste popolazioni.


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