Gli scienziati scoprono la prima prova documentata di un intervento chirurgico su entrambe le ossa temporali e, molto probabilmente, la prima mastoidectomia radicale conosciuta nella storia dell’umanità…


a cura della redazione, 19 febbraio 

I ricercatori hanno scoperto la prima prova nota di un intervento chirurgico all’orecchio in un cranio del 3300 a.C., recuperato in una sepoltura megalitica nella provincia di Burgos, nella Spagna centro-settentrionale. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” il 15 febbraio scorso. All’interno del dolmen di El Pendón, che custodisce le ossa di centinaia di persone, un team di archeologi e ricercatori, guidato da Manuel Rojo Guerra, professore di Preistoria all’Università di Valladolid, ha individuato un cranio con due perforazioni bilaterali su entrambe le ossa mastoidi. Le analisi effettuate dai dipartimenti di Anatomia, Radiologia e Otorinolaringoiatria di Valladolid, in collaborazione con il Laboratorio di Evoluzione Umana (LEH) dell'Università di Burgos, indicano un intervento chirurgico eseguito per alleviare il dolore causato da una forte otite. Ipotesi avvalorata, secondo gli studiosi, dalla presenza di tagli al margine anteriore della trapanazione praticata nell’orecchio sinistro. Inoltre, i risultati delle analisi eseguite dimostrano la sopravvivenza del soggetto a entrambi gli interventi. È interessante notare che anche gli altri corpi rinvenuti nella "fossa comune" risultano aver sofferto, in vita, diverse patologie e lesioni, ancora al vaglio scientifico.

Il teschio era rotto e mancava di alcune parti, ma il neurocranio era completo e in posizione, così come l’osso nasale, gli zigomi e la mascella inferiore. È stato trovato disteso sul lato destro di fronte all’ingresso della camera funeraria. L’esame del cranio ha rivelato che apparteneva a una donna, probabilmente in età avanzata, poiché aveva perso tutti i denti e la sua cartilagine tiroidea era completamente ossidata. L’esame osteologico e le scansioni TC hanno rilevato che i canali uditivi esterni di entrambe le orecchie erano stati ingranditi. I bordi delle cavità sono risultai lisci, senza fratture o calli. La cosa più sorprendente è stato scoprire che queste cavità erano state ampliate mediante una forma di trapanazione inspiegabile per l'epoca. «Questo tipo di intervento, nonostante la sua antichità (5.300 anni), deve essere stato eseguito da autentici specialisti o da persone con determinate conoscenze anatomiche e/o esperienze terapeutiche accumulate. In questo senso, il ritrovamento nella tomba di un foglio di selce con tracce di osso tagliato e riscaldato più volte a una temperatura compresa tra 300º e 350º, autorizza a proporne l'uso come cauterio o strumento chirurgico per eseguire l'operazione», spiegano Cristina Tejedor Rodríguez e Sonia Díaz Navarro nel comunicato dell'Università di Valladolid.

I sette segni di taglio sul bordo della cavità, dove è stata effettuata la delicata operazione in prossimità dell’orecchio sinistro, sono un’ulteriore prova dell’intervento chirurgico. In base alla datazione attribuita al ritrovamento, quando ancora i metalli non erano in uso nella zona, la trapanazione e i tagli dovrebbero essere stati eseguiti con strumenti in pietra e senza alcuna anestesia. È possibile? Siamo di fronte alla più antica prova archeologica di questa tecnica chirurgica eseguita con una precisione millesimale. Le superfici interne delle cavità mostrano segni di riassorbimento spesso osservati nella mastoidite, un’infezione dell’osso appena dietro l’orecchio. In base ai riscontri sembra che si sia manifestata in età avanzata. Il che rende ancora più sorprendente l'intervento, avvenuto su ossa adulte. Prove di ascessi da mastoidite sono state scoperte in precedenza in altri crani antichi, ma non erano mai stati trovati segni di alcun tentativo di intervento chirurgico né di ricrescita ossea, indice di recupero post operatorio, ascrivibili a tale periodo della nostra preistoria. Questo cranio, invece, mostra una chiara evidenza di rigenerazione e rimodellamento osseo. 

L’analisi al radiocarbonio ha stabilito che il dolmen fu costruito all’inizio del IV millennio a.C.. La tomba fu utilizzata per circa 800 anni, tra il 3.800 e il 3.000 a.C., subendo una serie di riutilizzi, raggruppamenti e riduzioni di cadaveri nel corso del tempo, lasciandoci una fotografia del complesso mondo simbolico e rituale che ospitano simili monumentali costruzioni funerarie. Tale luogo di sepoltura è costituito da una camera centrale con un lungo passaggio d’ingresso. Il recinto è stato creato con grandi pietre erette attorno alle quali è stato costruito un tumulo, ora scomparso, di pietra e terra che originariamente aveva un diametro di quasi 25 metri. Una seconda fase di utilizzo, nell’ultimo quarto del IV millennio a.C. vide la trasformazione della camera funeraria nel sepolcreto collettivo, dove è stato trovato il cranio della donna. Gli altri corpi presenti furono disarticolati e i resti riposizionati secondo uno schema di matrice rituale. Per i ricercatori, dunque, la dispersione non fu casuale. Sono stati trovati almeno 15 diversi raggruppamenti di crani e bacini. In base alla ricostruzione degli studiosi, verso la fine di quel millennio, solo sei dei megaliti calcarei originali erano ancora in piedi, mentre le strutture del passaggio d’ingresso erano scomparse e l’ex tumulo aveva un diametro di pochi metri. Nonostante non avesse più una funzione funeraria, sono state trovate tracce che dimostrano come il sito sia stato ancora venerato come centro cerimoniale e comunitario per molti secoli ancora.


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Una recente indagine subacquea ha individuato i resti che potrebbero corrispondere al mitico tempio fenicio-punico di Melquart ed Ercole a Cadice, in un'area tra Camposoto e Sancti Petri, a Chiclana...


La Razòn,15 dicembre

Una recente indagine subacquea ha individuato i resti che potrebbero corrispondere al mitico tempio fenicio-punico di Melquart ed Ercole a Cadice, in un'area tra Camposoto (San Fernando) e Sancti Petri, a Chiclana. Ritrovamento che, se confermato, potrebbe risolvere una delle grandi incognite dell'archeologia. La struttura, situata a una profondità compresa tra cinque e tre metri e con dimensioni di 300 metri di lunghezza e 150 di larghezza, è stata localizzata grazie al lavoro di telerilevamento effettuato da Ricardo Belizón Aragón e Antonio Sáez Romero, dell'Università di Siviglia. La ricerca, presentata oggi al Centro di Archeologia Subacquea di Cadice, ha determinato l'esistenza nei dintorni del canale Sancti Petri di altre strutture che potrebbero corrispondere a porti e altri edifici che indicherebbero l'esistenza di un’antica strtuttura ormai sommersa. Il luogo e le caratteristiche in cui sono stati collocati i possibili resti di questo ricercato tempio, sottoposto all'ondeggiare delle maree, che rende difficili le indagini, corrispondono alle descrizioni dello spazio mitico riportate nei loro testi da autori classici come Strabone, Posidonio e Filostato, tra i tanti, corroborando la loro teoria. Il punto del ritrovamento dista circa quattro chilometri da quello recentemente segnalato da un'altra indagine di esperti delle università di Córdoba e Cadice. Dopo la prima analisi delle informazioni ottenute, unitamente ai dati documentali e archeologici già esistenti sull'area, il personale della Delegazione Territoriale, dell'Università di Siviglia e del Centro di Archeologia Subacquea ha compiuto diversi sopralluoghi. I dati raccolti hanno rivelato l'esistenza di un ambiente totalmente diverso da quello sinora ipotizzato: un nuovo paesaggio costiero e un litorale fortemente antropizzato, con la presenza di possibili dighe foranee, grandi edifici e anche un possibile bacino portuale chiuso. La ricerca futura si concentrerà sulla conduzione di indagini archeologiche (terrestri e subacquee), studi documentali e geoarcheologici specifici e campionamenti paleoambientali.


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