Rinvenuti nel parco archeologico di Velia-Paestum i resti del più antico tempio arcaico dedicato alla dea, risalenti alle prime fasi di vita della città fondata intorno al 540 a.C. ...


Parco Archeologico Velia, 1 febbraio 

Scoperti nel parco archeologico di Velia-Paestum i resti del più antico tempio arcaico dedicato ad Athena risalenti alle prime fasi di vita della città fondata intorno al 540 a.C. Da anni si ipotizzava l'esistenza di una struttura sacra antecedente al tempio maggiore dell'Acropoli e gli scavi hanno riportato alla luce resti di muri, realizzati con mattoni crudi e intonacati, di quello che doveva essere un edificio rettangolare lungo quasi 20 metri. Ritrovate anche ceramiche dipinte, vasi con iscrizioni, frammenti metallici di armi e armature e due elmi, uno calcidese e un altro di tipo Negau - di epoca etrusca - in ottimo stato di conservazione. 

Sulla base di precedenti ricerche archeologiche avviate negli anni ’20 del secolo scorso, e proseguite con discontinuità fino agli anni ’90, si ipotizzava, anche se con forti dubbi, l’esistenza di una struttura sacra arcaica antecedente al tempio maggiore dell’Acropoli di Velia. In particolare si pensava ad una sua collocazione sul terrazzo più elevato della punta occidentale dell’Acropoli. I recenti scavi non solo hanno confermato l’esistenza di un edificio sacro ma ne hanno anche precisato la collocazione, la planimetria, la cronologia e il rapporto con le strutture più recenti. 

Gli archeologi del Parco hanno, infatti, riportato alla luce resti di muri realizzati con mattoni crudi, intonacati e fondati su zoccolature in blocchi accostati in poligonale, una tecnica utilizzata anche per le abitazioni di età arcaica rinvenute lungo le pendici dell’acropoli. Tali testimonianze disegnano un edificio rettangolare lungo almeno 18 metri ed ampio 7. La porzione interna della struttura è pavimentata con un piano in terra battuta e tegole, sul quale, in posizione di crollo, sono stati rinvenuti elementi dell’alzato, ceramiche dipinte, vasi con iscrizioni “IRE”, ovvero “sacro”, e numerosi frammenti metallici pertinenti ad armi e armature. 

Tra questi, due elmi, uno calcidese e un altro di tipo Negau, in ottimo stato di conservazione. “I rinvenimenti archeologici presso l’acropoli di Elea-Velia lasciano ipotizzare una destinazione sacra della struttura“, dichiara il Direttore Generale dei Musei e Direttore Avocante del Parco Archeologico di Paestum e Velia, Massimo Osanna, nel comunicato stampa. Con tutta probabilità in questo ambiente vennero conservate le reliquie offerte alla dea Athena dopo la battaglia di Alalia, lo scontro navale che vide affrontarsi i profughi greci di Focea e una coalizione di Cartaginesi ed Etruschi, tra il 541 e il 535 a.C. circa, al largo del mar Tirreno, tra la Corsica e la Sardegna. Liberati dalla terra solo qualche giorno fa, i due elmi devono ancora essere ripuliti in laboratorio e studiati. 

Al loro interno potrebbero esserci iscrizioni, cosa abbastanza frequente nelle armature antiche, e queste potrebbero aiutare a ricostruire con precisione la loro storia, chissà forse anche l’identità dei guerrieri che li hanno indossati. Certo si tratta di prime considerazioni che già così chiariscono molti particolari inediti di quella storia eleatica accaduta più di 2500 anni fa. Gli scavi hanno anche chiarito la cronologia del principale tempio della città dedicato alla dea Athena. La costruzione del tempio maggiore, almeno di una sua prima fase, deve collocarsi cronologicamente dopo la struttura sacra riportata alla luce in questi ultimi mesi. In seguito, in età ellenistica, l’intero complesso riceverà una completa risistemazione con la realizzazione di una stoà monumentale che cingerà il tempio maggiore e il piano di uso si eleverà a coprire tutte le fasi precedenti.

La struttura del tempio più antico risale al 540-530 a.C., ovvero proprio gli anni subito successivi alla battaglia di Alaliafa notare Osannamentre il tempio più recente, che si credeva di età ellenistica, risale in prima battuta al 480-450 a. C., per poi subire una ristrutturazione nel IV sec. a C. È possibile quindi che i Focei in fuga da Alalia l’abbiano innalzato subito dopo il loro arrivo, com’era loro abitudine, dopo aver acquistato dagli abitanti del posto la terra necessaria per stabilirsi e riprendere i floridi commerci per i quali erano famosi. E alle reliquie da offrire alla loro dea per propiziarne la benevolenza, aggiunsero le armi strappate ai nemici in quell’epico scontro in mare che di fatto aveva cambiato gli equilibri di forza nel Mediterraneo.”

Il lavoro, grazie ad un’ampia squadra di professionisti e collaboratori, dà risposta a questioni aperte da oltre settant’anni, su cui si sono espressi nel corso del tempo numerosi eminenti studiosi. I risultati hanno chiarito topografia, architettura, destinazione d’uso e cronologia delle varie fasi dell’Acropoli, dall’età del Bronzo al periodo ellenistico. – dichiara l’archeologo del Parco, Francesco Uliano Scelza nello stesso comunicatoAdesso si lavora ad ulteriori progetti che la presente ricerca ha ispirato, di fruizione, studio e valorizzazione. Tra questi, la rimodulazione dell’Acropoli, da rendere visibile e visitabile in ogni sua parte e la rielaborazione dei luoghi espositivi della Cappella Palatinae e della chiesa di Santa Maria, in modo da rendere ancora più attraente il già suggestivo paesaggio di Velia”. In considerazione dei risultati importanti delle ricerche saranno programmate dal Parco nuove indagini per ricostruire la storia della colonia greca.


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Il ritrovamento monumento religioso millenario testimonia l’esistenza di un importante centro di culto e pellegrinaggio…


Università Ca' Foscari Venezia27 gennaio 

Gli archeologi hanno trovato uno dei più antichi templi buddisti conosciuti nella città di Barikot, nella regione dello Swat in Pakistan, lungo un antico asse viario. Gli scavi della missione 2021, condotti nell’ambito di una missione italiana in collaborazione con l’Associazione Internazionale per gli Studi Mediterranei e Orientali (ISMEO), hanno portato alla luce un Tempio Shahi dedicato a Vishnu, che misura 21 per 14 metri. In attesa delle datazioni al carbonio-14, le indagini indicano che fu costruito sopra un antico edificio di culto preesistente, databile intorno al 700 a.C. e demolito al tempo della dinastia Ghaznavid, dopo l'anno 1000 d.C.. Secondo il professor Luca Maria Olivieri dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento di Studi Asiatici e Nordafricani), “a quel tempo, Swat era già una terra sacra per il buddismo”.

Oltre all’antica acropoli, gli archeologi hanno scoperto una piccola necropoli, che è stata esplorata in collaborazione con Massimo Vidale dell’Università di Padova. Il tempio scoperto nel 2021 e altri due santuari buddisti scoperti negli ultimi anni si trovano ai lati dell’antica strada, una “via dei templi” lungo la via principale che collegava la periferia della città con l’acropoli. L’antico tempio buddista, alto fino a tre metri, fu costruito su un podio absidale su cui si erge una struttura cilindrica che ospita un piccolo stupa. Sulla facciata del tempio si trova uno stupa minore e il podio di un pilastro o colonna monumentale, oltre ad una serie di stanze del vestibolo che un tempo conducevano ad un ingresso che si apriva su un cortile pubblico. Sulla scalinata che conduce alla cella un’iscrizione dedicatoria in Kharosthi. L’altra metà del gradino è stata ritrovata capovolta, riutilizzata come solaio nella fase successiva del monumento. 

Barikot fu abitata ininterrottamente dalla Protostoria (1700 a.C.) fino al Medioevo (XVI secolo d.C.) e conserva oltre 10 metri di stratigrafia archeologica. La parte del tempio in superficie risale all’incirca alla seconda metà del II secolo a.C., ma potrebbe essere anche più antico, del periodo Maurya, III secolo a.C.. Gli scavi hanno anche rivelato che il monumento è stato costruito sui resti di una struttura precedente affiancata da un piccolo stupa arcaico che precede il periodo indo-greco. Questa scoperta getta nuova luce sulle forme dell'antico buddismo e sulla sua diffusione nell'antico Gandhara, aggiungendo un tassello al puzzle di ciò che sappiamo dell’antica città. Lo scavo è stato condotto da Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt) vicedirettore della Missione, e Michele Minardi (Università LOrientale di Napoli). La prima missione archeologica italiana in Asia fu avviata da Giuseppe Tucci nel 1955 ed è attualmente guidata dal professor Olivieri, con il cofinanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dalla Direzione Archeologia, del Musei KP Province (DOAM KP) e del Museo Swat.


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A ovest di Huánuco, si trova una huaca preispanica che ha l'aspetto di un promontorio naturale edificato dall’uomo 3.800 anni fa. Si tratta di una delle più antiche testimonianze di costruzioni dedicate all'attività cerimoniale o religiosa in Perù...


a cura della redazione, 9 dicembre

A ovest di Huánuco, si trova una huaca preispanica che ha l'aspetto di un promontorio naturale edificato dall’uomo 3.800 anni fa. Il suo nome è Kotosh e significa, appunto, “monte di pietre”. Si tratta di una delle più antiche testimonianze di costruzioni dedicate all'attività cerimoniale o religiosa in Perù, e la forma dei suoi templi a tre strati terrazzati, come la disposizione dei suoi elementi interni, lo rendono il fulcro del più antico movimento religioso delle Ande peruviane. Scoperto negli anni trenta dello scorso secolo, fu associato dall’archeologo Giulio Cesare Tello a una delle prime popolazioni andine, quale anello di congiunzione nella storia della civiltà peruviana, la cui massima espressione fu la città sacra di Caral. Dopo la scomparsa di Tello, non ci furono più ricerche nella zona, fino a quando nel 1960 l'Università di Tokyo inviò una spedizione guidata da Seichi Izumi. Nel team anche l'archeologo Toshinico Sono, l'antropologo Kazuo Terada e altri specialisti. La squadra ha rimosso i detriti a Kotosh, fino a trovare i resti di un'antichissima costruzione del preceramico. Sulla parete nord sono stati rinvenuti una coppia di rilievi fittili che rappresentano due braccia incrociate, da destra a sinistra e per questo motivo questo edificio è stato chiamato "Tempio delle Mani Incrociate". Nel 1963 un altro rilievo simile fu trovato sulla stessa parete, ma con il braccio sinistro sopra il destro. Le sculture delle mani incrociate sono le più antiche trovate in Perù. Alcuni sostengono che rappresentino la dualità e la complementarità. Anche il doppio livello del pavimento del tempio è considerato un'espressione materiale del "dualismo" in questo sito. A partire dal 1960, gli archeologi hanno completamente disseppellito il tempio confermandone l’età plurimillenaria. Risalirebbe almeno al 1800 a.C..  Si tratta di un complesso di varie edificazioni a scopo religioso, senza finestre, con una sorta di pozzo o fossa centrale. Questa antichissima huaca, non solo è la più precoce architettura cerimoniale delle Ande, ma risulta essere edificata in un punto magnetico che amplifica la voce del visitatore rispetto alle altre persone presenti. Kotosh comprende anche due templi naturali: il tempio della Purificazione, dove si eseguivano le abluzioni sacerdotali e le cerimonie di iniziazione, per poi passare la notte in meditazione nel tempio naturale della Luna, Quillarumi, e con l'alba ricevere il bagno dell'aurora, il Sacro Fuoco, officiando il Padre Inti (Sole). Il Quillarumi si trova sulla cima di una montagna sul lato sud ovest del tempio Kotosh. E' una formazione rocciosa a forma di mezza luna, ornata con pitture rupestri ancora più antiche. Sul lato sinistro ci sono simboli e scene della vita spirituale e sul lato destro scene della vita materiale.


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Gli archeologi hanno scoperto quello che ritengono essere uno dei "templi del sole" perduti in Egitto, risalente alla metà del XV secolo a.C. ...


CNN, 17 novembre 

Gli archeologi hanno scoperto quello che ritengono essere uno dei "templi del sole" perduti in Egitto, risalente alla metà del XV secolo a.C. Il team ha scoperto i resti sepolti sotto un altro tempio ad Abu Ghurab, circa 30 chilometri a sud del Cairo, ha detto alla Galileus Web il co-direttore della missione Massimiliano Nuzzolo, assistente professore di egittologia presso l’Istituto per le culture mediterranee e orientali dell’Accademia polacca delle scienze a Varsavia. 

La scoperta di Nuzzolo e del team è stata protagonista di una puntata di “Lost Treasures of Egypt” di National Geographic. Nel 1898, gli archeologi che lavoravano nel sito scoprirono il tempio del Sole di Nyuserra, noto anche come Neuserre o Nyuserre, il sesto re della V dinastia, che governò l'Egitto tra il 2400 e il 2370 a.C.. Le scoperte fatte durante l’ultima missione suggeriscono che sia stato costruito sopra i resti di un altro tempio. 

UN TEMPIO SOLARE SOTTO QUELLO DI NIUSERRE - Ne parliamo in modo approfondito su FENIX n° 160, in un articolo a cura di Robert Bouval, che ci spiega perché il calendario egizio sia da considerarsi il lascito della legge cosmica di Maat, introducendoci al sistema religioso dei cicli cosmici, dal sotiaco al precessionale, in un preciso gioco di corrispondenze tra il sud nilotico e l'est astronomico, grazie al rispecchiamento tra Nilo terrestre, che scorre da sud a nord, e il Nilo celeste (la Via Lattea), che scorre da est a ovest.

Gli archeologi del XX secolo avevano scavato solo una piccolissima parte di questo edificio in mattoni di fango sotto il tempio in pietra di Nyuserra e avevano concluso che questa era una fase di costruzione precedente. I nuovi ritrovamenti dimostrano che si trattava di un edificio completamente diverso, eretto prima di Nyuserra. I reperti comprendono sigilli incisi con i nomi dei re che regnarono prima di lui, un tempo usati come tappi per giare, nonché le basi di due colonne in calcare, che facevano parte di un portico d’ingresso, e una soglia in pietra calcarea. La costruzione originaria era interamente realizzata in mattoni di fango. 

La squadra di Nuzzolo ha anche trovato “decine di vasi pieni di fango rituale, che veniva utilizzato solo in specifici contesti religiosi. La ceramica è stata datata alla metà del XV secolo a.C., una o due generazioni prima”. Il monumento in mattoni di fango “era di dimensioni impressionanti”, ha detto Nuzzolo, ma Nyuserra lo distrusse ritualmente per costruire il suo tempio del Sole. Indirettamente, lo scopo principale del tempio era quello di essere il luogo per la deificazione del re vivente. Fonti storiche suggeriscono che furono costruiti in totale sei templi del Sole, ma solo due erano stati portati alla luce in precedenza. Da queste fonti sappiamo che i templi del Sole furono tutti costruiti intorno ad Abu Gharab. Quello di Nyuserra ha una disposizione molto simile all’edificio in mattoni di fango, ma è più grande e fatto di pietra, materiale meno deperibile. Lo scavo, ancora in corso, fa parte di una missione congiunta dell'Università degli Studi di Napoli L’Orientale e dell’Accademia polacca delle Scienze.


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