Un secondo sarcofago di piombo, che ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio enigma, è stato rinvenuto nella cattedrale francese.Un elemento unico di tale sepoltura è la forma antropoide del sarcofago, modellato per adattarsi al corpo del defunto. La bara, inoltre, conteneva i resti di un sudario...


a cura della redazione, 10 dicembre

Lo scorso marzo abbiamo parlato del ritrovamento di un sarcofago sotto la navata di Notre Dame, a Parigi. Ne aveva dato notizia l'Istituto Nazionale per la Ricerca Archeologica Preventiva (INRAP), incaricato di scavare il sito prima dell'inizio dei lavori di restauro dopo il violento incendio che aveva devastato la cattedrale il 15 aprile 2019. Inaspettatamente però, durante le indagini è emerso, a un mese di distanza, un secondo sarcofago di piombo, che ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio enigma. 

I due sarcofagi sono stati trasportati all’Istituto Forense dell'Ospedale Universitario di Tolosa, dove sono stati esaminati tra il 21 al 26 novembre scorso. Lo studio è stato condotto con indumenti protettivi e strumenti sterilizzati per salvaguardare i lavoratori dal rischio del piombo e le tombe dalla potenziale contaminazione umana. 

Dall'ultima nota stampa, diramata ieri (9 dicembre), scopriamo che si tratta di due sepolture d'elite che risalgono a periodi diversi, e forse molto distanti tra loro. Il secondo sarcofago, infatti, lascia un velo di mistero sulla sua identità e sulla data di sepoltura: rinvenuto in uno strato archeologico più profondo, non era etichettato come il primo feretro da una targa in bronzo, che identifica lo scheletro "più giovane" come Antoine de la Porte canonico della cattedrale di Notre Dame, morto nel 1710. Inoltre, il metodo d'inumazione e alcune caratteristiche insolite per l'epoca lascerebbero dubbi persino sulla retrodatazione della seconda sepoltura, che potrebbe essere anche più antica del XIV secolo.

Un elemento unico di tale sepoltura è la forma antropoide del sarcofago, modellato per adattarsi al corpo del defunto. La bara, inoltre, conteneva i resti di un sudario, foglie all’altezza dell’addome e fiori intorno alla testa, come una corona. I resti scheletrici indicano che il defunto era un uomo di età compresa tra i 24 e i 40 anni. Il suo osso pelvico e la parte superiore delle gambe mostrano che cavalcava fin dalla tenera età e per tale ragione i ricercatori lo hanno soprannominato “il cavaliere”. Oltre a soffrire di una specie di malattia cronica che gli aveva distrutto quasi tutti i denti, quando era solo un bambino il suo cranio, legato con una fascia, era stato deformato. 

La modifica deliberata del cranio è una pratica diffusa in diversi continenti e risale a decine di migliaia di anni fa, utilizzata anche dall’aristocrazia francese e in Italia nell’alto Medioevo. Basti guardare il ritratto di una principessa della Casa d'Este di Pisanello esposto al Louvre. È interessante notare, però, che la parte superiore della calotta cranica del nostro "cavaliere" era stata segata, prova inequivocabile, secondo i ricercatori, che fu imbalsamato. Una pratica, questa, estremamente rara nel Medioevo...


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Dopo essere state separate per 3.000 anni, la scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima...


a cura della redazione 30 giugno

Dopo essere state separate per 3.000 anni, sepolte in due distinte fosse sacrificali nel sito archeologico di Sanxingdui, nella Cina sud occidentale, una enigmatica scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, dissotterrata lo scorso giugno, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima. La statua, in bronzo, era stata fusa in tre parti poi saldate insieme: una base a urna; la parte centrale con la testa antropomorfa con occhi, zanne e corna sporgenti, su un corpo di serpente; e sopra la testa uno zun, un recipiente per bere, a forma di tromba di cinabro. Le tre sezioni combinate costituiscono una scultura alta più di un metro e mezzo che rappresenta una figura mitologica diversa dalle consuete iconografie del regno Shu dell'età del bronzo, cui si pensa appartenga. Gli archeologi ipotizzano si tratti della rappresentazione di una divinità. Quale non è ancora chiaro.

Il corpo serpentino, girato all'indietro, sembra compiere una torsione ascensionale che riflette simbolicamente l'importanza dell'elemento sacrificale nell'evoluzione spirituale di chi nasce a nuova vita, dopo la morte. Inoltre, la figura ha cinque ciocche di capelli ed è unica nel suo genere. Le le altre sculture in bronzo, fino ad oggi rinvenute nel sito, mostrano capelli intrecciati o una sorta di chignon.

La parte con l'artiglio di uccello rinvenuta nel 1986 era chiaramente incompleta, ma gli studiosi non ne comprendevano la funzione né il verso in cui fosse utilizzata. osservandola, sembra la zampa di una creatura che indossa una "gonna aderente" con un motivo a nuvole, da cui emergono due artigli che stringono le teste di due uccelli dal collo lungo. Dopo essere stata esposta per anni a testa in giù al Museo di Sanxingdui, si è scoperto che mancava la sua metà anteriore: la "vita" della "gonna" si adatta perfettamente a un'appendice ricurva sul retro della statua scoperta di recente. 

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Scoperte originariamente alla fine degli anni '20, le rovine di Sanxingdui sono una delle più grandi scoperte archeologiche al mondo del XX secolo. Situate nella città di Guanghan, si ritiene che le rovine, che coprono un'area di 12 chilometri quadrati, siano i resti del regno di Shu, una civiltà che risale ad almeno 4.800 anni fa. All'inizio del 1986, gli archeologi hanno scoperto migliaia di preziose reliquie culturali nelle fosse 1 e 2, tra cui uno scettro d'oro e un albero sacro di bronzo, che hanno suscitato interesse in tutto il mondo. 

Un team congiunto di archeologi dell'Istituto di Ricerca sulle reliquie Culturali e Archeologiche della provincia del Sichuan, l'Università di Pechino, l'Università di Sichuan e altri istituti di ricerca, ha scavato altre sei fosse del sito dal 2020. Gli scavi tra marzo e agosto 2021 hanno portato alla scoperta di oltre 80 tombe antiche e più di 10 siti di rovine di abitazioni che risalgono alla dinastia Zhou occidentale (1046 a.C.- 771 a.C.) e al periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C. - 476 a.C.). Nello scavo più recente, gli archeologi hanno trovato 3.155 reliquie relativamente intatte, tra cui più di 2.000 oggetti in bronzo e statue. Finora, nel sito sono stati rinvenuti più di 50.000 oggetti di bronzo, giada, oreficeria, ceramica e avorio.

I ricercatori hanno descritto una scatola a forma di guscio di tartaruga in bronzo e giada come uno dei loro reperti più intriganti, data la sua forma distintiva, l'arte raffinata e il design ingegnoso. Sebbene non sappiamo a cosa servisse, presumono si tratti di un tesoro. Nella stessa fossa numero 8 i ricercatori hanno rinvenuto un altare di bronzo alto quasi un metro. Si pensa fosse utiilizzato per fare offerte al cielo, alla terra e ai loro antenati. Tracce, intorno alle fosse, di bambù, canne, semi di soia, bovini e cinghiali suggeriscono che questi fossero tutti offerti come sacrifici.


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a cura della redazione 1 giugno

Durante la stagione 2021 del progetto "Conservazione architettonica e finiture decorative di El Palacio" è stata rinvenuta, nella Zona Archeologica di Palenque, Chiapas, una rappresentazione del giovane Dio del Mais. La scoperta è stata annunciata, però, solo ieri, a distanza di un anno, dall'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH). È il primo ritrovamento sul sito, di una testa stuccata di questa importante divinità del pantheon Maya. La rappresentazione della divinità, di oltre 1.300 anni fa, è stata trovata in un corridoio dell'edificio. La novità più interessante è che la scultura risulta "l'asse" di un rito celebrato in uno stagno artificiale, con un sistema di drenaggio altamente sofisticato, per emulare l'ingresso della divinità negli Inferi, attraverso l'immersione. La vasca presenta due livelli per la seduta e per gli stanti, con una marcata pendenza che va da est a ovest, fino a un piccolo congegno per drenare l'acqua. I ricercatori hanno anche individuato dietro il muro di contenimento un altro foro, che si pensa porti a una stanza di compensazione. Il drenaggio presumibilmente aveva un tappo per lasciare salire l'acqua fino a un certo livello, permettendo di avere uno specchio di approssimativamente 8 centimetri, nel quale era possibile vedere il riflesso dell'Astro lucente, ma anche quello del cosmo.

L'Istituto ha riferito che nel luglio dello scorso anno, l'équipe interdisciplinare che lavora al progetto ha riscontrato un meticoloso allineamento delle pietre, mentre rimuoveva il riempimento da un corridoio che collega le stanze della edificio B di El Palacio con quelle dell'adiacente ediificio F. All'interno di un ricettacolo semiquadrato, formato da tre pareti, e sotto uno strato di terra smossa, sono emersi il naso e la bocca semiaperta della divinità. Man mano che l'esplorazione procedeva, si scoprì che la scultura era al centri di una ricca offerta collocata su una vasca con pavimento e pareti stuccate (larghezza circa un 1 per 3 metri di lunghezza), costruita con cura e sapienza architettonica per emulare l'ingresso del dio agli Inferi, ricreando un ambiente acquatico, simbolo della purificazione e della nascita nuova vita. Questa scoperta ci permette di comprendere come anche gli antichi Maya di Palenque praticassero un rito di passaggio iniziatico di nascita, morte e Resurrezione. Anche la testa stuccata, lunga 45 centimetri, larga 16 centimetri e alta 22 centimetri, aveva un orientamento est-ovest , che simboleggiava la nascita della pianta del mais con i primi raggi del Sole. 

L'archeologo González Cruz e i suoi colleghi, Carlos Varela Scherrer e Wenceslao Urbina Cruz, che hanno partecipato come responsabili degli scavi, hanno spiegato che la scultura, modellata attorno a un supporto in pietra calcarea, ha caratteristiche aggraziate: “Il mento è affilato, pronunciato e diviso; le labbra sono sottili e sporgenti verso l'esterno – quella inferiore leggermente verso il basso – e mostrano gli incisivi superiori. Gli zigomi sono fini e arrotondati, mentre gli occhi sono allungati e sottili. Dalla fronte ampia, lunga, appiattita e rettangolare, nasce un naso largo e pronunciato”. Un altro vestigio, piuttosto significativo, sono i frammenti di una lastra a treppiede su cui è stata collocata la scultura, che in origine era stata concepita come una testa mozzata. Nel 2018, nello stesso edificio fu rinvenuta una maschera più piccola, poco distante dal ritrovamento della testa del giovane Dio del Mais, che riproduce un volto, presumibilmente della stessa divinità, più vecchia, consolidando le ipotesi che si tratti di un luogo dove veniva celebrato un rito di passaggio.

Il gigantesco volto del dio solare era stato posto sotto una coltre di sedimenti rituali, tra cui vegetali, animali ossa di animali (quaglia, tartaruga bianca, pesce bianco e cane domestico), conchiglie, torte di granchio, frammenti di ossa lavorate, pezzi di ceramica, tre frazioni di figurine antropomorfe in miniatura, 120 pezzi di lame di ossidiana, una porzione di perline di pietra verde, due perle di conchiglia, così come semi e piccole lumache. La disposizione di questi elementi era costituita concentricamente e non da strati, coprendo quasi il 75% della cavità, che era sigillata con pietre sciolte. Alcune ossa di animali erano state cotte e altre mostravano segni di carne e impronte di denti. Indizi che hanno portato i ricercatori a ipotizzare che siano state utilizzate per il consumo umano come parte del rituale.

L'INAH ha evidenziato che, per la tipologia ceramica della piastra a treppiede che accompagnava la testa del "giovane Dio del Mais tonsurato", descrizione che allude ai capelli tagliati del numen, che ricordano il mais maturo, il contesto archeologico è databile intorno al periodo tardo classico (700-850 d.C.). Per González Cruz, è probabile che questi rituali notturni abbiano avuto inizio durante il governo di K'inich Janaab' Pakal I (615-683 d.C.), e siano continuati durante quelli di K'an Bahlam II (684-702 d.C.), K'an Joy Chitam II ( 702-711 d.C.) e Ahkal Mo' Nahb' III (721-736 d.C.). Forse sotto il regno di questi ultimi quello spazio fu chiuso in modo simbolico, rompendo una porzione del pavimento in stucco dello stagno e rimuovendo parte del riempimento edilizio, per depositare una serie di elementi rituali. 

Sopra l'offerta fu posta una lastra di calcare con una piccola perforazione – lunga 85 centimetri per 60 centimetri di larghezza e 4 centimetri di spessore - ma non prima di “sacrificare” la piastra del treppiede, che era quasi spezzata della metà e di una porzione, con uno dei suoi sostegni collocato nel foro della lastra. Veniva quindi un letto semicircolare di cocci e piccole anime di pietra, su cui era posta la testa della divinità, che veniva sorretta lateralmente con gli stessi materiali. Infine, l'intero spazio sarebbe stato chiuso con terra e tre muretti , lasciando la testa del giovane dio del mais all'interno di una specie di scatola, dove rimase nascosta per oltre un millennio. L'opera, rinvenuta in un contesto di umidità, è attualmente in fase di graduale essiccazione, per poi dare il via al suo restauro, per il quale sono stati incaricati gli specialisti del Coordinamento Nazionale per la Conservazione dei Beni Culturali dell'INAH.

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Scoperto nel villaggio di Çitli il primo esempio d gioiello da polso con raffigurazioni figurali dell'antico popolo indoeuropeo, realizzato 3.300 anni fa...


a cura della redazione, 27 marzo

Nel 2011 un uomo fece un’insolita scoperta archeologica, mentre arava la sua fattoria nel villaggio di Çitli, nella Turchia centro-settentrionale. Nonostante le pesanti macchine agricole lo avessero frantumato in tanti pezzi, si rese conto che aveva tra le mani un oggetto molto antico. Ne raccolse tutte le parti e le portò al Museo di Çorum. Gli esperti lo hanno identificato come un raro braccialetto del XIII secolo a.C.. Il luogo esatto del ritrovamento è rimasto sconosciuto, poiché il contadino aveva arato cinque campi quel giorno, e nonostante successive indagini archeologiche non sono stati rinvenuti in quei luoghi altri manufatti. Dopo un ampio restauro, gli esperti hanno scoperto dalle raffigurazioni figurali presenti sul bracciale che appartiene all’antica civiltà ittita, l’unico ritrovato sino ad ora, costituito da una lunetta ellittica di metalli preziosi, una forma in precedenza presente solo nei sigilli ad anello di questo popolo. Il misterioso manufatto è finalmente stato esposto al pubblico, per la prima volta, al Museo Archeologico di Çorum, come riporta il Daily Sabah

LO SAPEVI CHE - Le divinità ittite erano molte: la storia lo tramanda come il popolo dei mille dei. Essi facevano propri tutti quelli venerati dai popoli che conquistavano, in quanto credevano che questo conferisse loro più potere. Inoltre gli ittiti fecero proprie le diverse divinità anatoliche, chiamandole con il nome hattico. Nel Pànteon ittita la dea Ishtar era identificata con Shaushka, raffigurata con le ali, in piedi su un leone; aveva due seguaci, Ninatta e Kulitta. Fu venerata nel Regione del Toro, soprattutto a Samuha. Il re ittita Hattusilis III la prese come sua dea protettrice. Tale divinità, cui venvano attributi al contempo attribti di compassione e giustizia, aveva anche attributi maschili: poteva punire i bestemmiatori e gli autori di spergiuro con la riassegnazione di genere. Nei testi ittiti, si trova spesso accompagnata da  Sintal-wuri, Sintal-irti e Sintal-taturkani, i cui nomi hurriti si riferiscono tutti al numero sette. È nella processione degli dei Yazilikaya, santuario di Hattusa, la capitale dell'impero ittita tra il 1700 a.C. e il 1200 a.C. (si trova a 70 miglia a sud-ovest del sito di ritrovamento), la dea è raffigurata con le sue due ancelle.

L’antico oggetto, di cui manca una sezione al centro, è realizzato in una lega di rame, stagno e arsenico e misura circa 7 centimetri di diametro nel punto più largo. È formato da una fascia modellata a forma ellittica con le punte piegate all’indietro e forgiate insieme a formare un anello. Una piastra montata sull’ellisse è ornata da una scena di figure in rilievo eseguita con la tecnica dello sbalzo, incorniciata da un bordo di semicerchi e linee. 

LO SAPEVI CHE Gli Ittiti erano un antico popolo indoeuropeo che abitava la parte centrale dell’Asia Minore nel II millennio a.C. e il più noto degli antichi popoli anatolici. Il primo riferimento si trova nell’Antico Testamento, dove vengono menzionati come Chittim o Hitti, da cui ebbe origine in greco chetaios (o chettaios) che in latino diventò hetaeus o hettaeus. Il termine venne ripreso in mano da Lutero che lo tradusse come Hethiter in tedesco, passato poi in italiano come Ittita.

Al centro del rilievo a sbalzo è posta una figura stante, cui segue una processione di libagioni che si muove verso l’interno da entrambe le estremità dell’ellissi. Su i due lati della fascia, sia a sinistra sia a destra, è inciso una sorta di altare con gambe ricurve, che terminano con una zampa di animale. 

LO SAPEVI CHE - Agli dei veniva offerto da mangiare, anche per mezzo di sacrifici animali. Questo è testimoniato dalla presenza di magazzini attorno ai templi. Solo dopo che le divinità avevano mangiato, il popolo ed i sacerdoti potevano prendere parte al banchetto. Ishtar era la divinità femminile più importante nella civiltà assiro-babilonese. Era dea dell’amore e della guerra, sorella gemella del Sole (Samash) e figlia della Luna (Sin), e nel culto astrale si identificava con Venere. I sumeri la assimilarono con la loro Inanna, dea della madre terra e della fecondità, e il culto di Ishtar si diffuse poi anche fuori dalla Mesopotamia ai popoli vicini: in tutta l’Asia occidentale Ishtar divenne la personificazione della fertilità e della maternità. Fu venerata da semiti, ittiti, hurriti, fenici, siriani; penetrò anche nel mondo greco-romano col nome di Astarte. Fu protagonista di numerosi poemi epico-mitologici, fra cui quello della sua discesa agli Inferi e quello dell’epopea del semidio Gilgamesh.

I due “altari” sono drappeggiati con un telo che sembra coprire le offerte. Sul lato sinistro di ciascuno di essi sono posizionate due figure femminili (di una rimane solo la parte posteriore della testa) che si snodano verso destra, con il braccio sinistro che porta qualcosa, mentre il destro è visibilmente piegato verso l’alto. Di fronte a loro c’è un’altra figura con tratti più definiti. Le sue gambe sono di profilo e rivolte verso destra, mentre il busto è posizionato frontalmente. Indossa un indumento in due pezzi con una sorta di gonna, un mantello. Sulla sua spalla destra si intravede un’ala. Tutti questi particolari sono stati sufficienti per identificare la figura centrale come la dea Ishtar. Per gli archeologi, invece, le due figure femminili di fronte alla dea sono Ninatta e Kulitta. Una scena simile era stata trovata in precedenza su alcuni sigilli ittiti e rilievi rupestri.


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Gli archeologi scoprono, in una tomba consacrata al Dio dagli Occhi Chiusi, gli strumenti di un chirurgo della cultura Sicán...


a cura della redazione, 22 marzo

Un fascio funerario scoperto in una tomba del periodo del Medio Sicán (900-1050 d.C.) nel sito archeologico di Huaca Las Ventanas nella regione di Lambayeque in Perù include una serie di strumenti che indicano che il defunto era un chirurgo: una cinquantina di coltelli di diversi tipi, aghi di varie dimensioni con i rispettivi fili e residui di corteccia utilizzata per infusi e analgesici. Questa è la prima scoperta del genere mai fatta a Lambayeque o nel nord del Perù. Il fascio funerario è stato portato alla luce dagli archeologi del Museo Nazionale di Sicán in uno scavo nella necropoli meridionale di Huaca Las Ventanas. È stato rimosso insieme al terreno e al contesto sabbioso per proteggerlo dall'erosione e dalle inondazioni dell'adiacente fiume La Leche. Il materiale recuperato era stato trasportato al museo. Solo un decennio dopo, però, una sovvenzione del National Geographic Donation Fund concessa al museo nel 2021, ha permesso di esplorare completamente la sepoltura. Lo scavo ha avuto luogo tra ottobre 2021 e gennaio di quest'anno. All'interno del fascio c'era una maschera d'oro dipinta con cinabro, un grande pettorale di bronzo, ciotole di rame dorato e un indumento simile a un poncho con lastre di rame. Sotto il poncho c'era un vaso di ceramica con un doppio beccuccio e un manico a ponte ricurvo con una piccola figura all'apice che rappresentava il Re Huaco. 

Il kit chirurgico contiene un set completo di punteruoli, aghi e coltelli di varie dimensioni e configurazioni.Ci sono circa 50 coltelli in totale. La maggior parte sono una lega di bronzo ad alto contenuto di arsenico. Alcuni hanno manici in legno. C'è anche un tumi, un coltello cerimoniale con lama a mezzaluna. Accanto al tumi c'era una planchette di metallo con un simbolo associato a strumenti chirurgici. Accanto alla planchette sono state rinvenute due ossa frontali, una adulta e una giovanile. I segni sulle ossa indicano che sono stati deliberatamente tagliati con tecniche di trapanazione. Ciò ha confermato che gli strumenti erano destinati all'uso in chirurgia. Sebbene gli strumenti siano unici per la regione, un ritrovamento simile è stato fatto a Paracas nel 1929. Gli strumenti sono tuttavia realizzati con materiali diversi. Le lame del set di Paracas sono state realizzate con ossidiana vulcanica affilata.

È la prima scoperta di questo tipo qui a Lambayeque e nel nord del Paese. Risale dall'anno 900 al 1050 dopo Cristo, di appartenenza culturale del Medio Sicán. Non stiamo solo documentando figure d'élite di culto legate alla metallurgia, ma anche specialisti e interventi chirurgici”, ha sottolineato il Direttore del Museo Nazionale Sican Carlos Elera su Andina.

Un pezzo di corteccia di un albero sconosciuto trovato nel fascio potrebbe essere stato usato per scopi medicinali, quali infusioni analgesiche o antinfiammatorie, come la corteccia di salice bianco che ancora oggi è considerata fondamentalmente un tè di aspirina.

Sarà studiato per scoprire a quale specie appartenesse, quale uso avesse allora come oggi. Ovviamente, sarà necessario anche un confronto dettagliato con gli strumenti chirurgici rinvenuti a Paracas. Ce ne sono alcuni che coincidono e altri no. Tra i reperti di Lambaye, abbiamo l'asta del Dio della Maschera con gli Occhi Chiusi, un elemento sempre presente”, che deve essere antropologicamente contestualizzato secondo lo studioso.

Poco distante, nella Huaca Santa Rosa de Pucalá, situata nell'omonimo distretto, nella regione di Lambayeque, i ricercatori hanno scoperto quattro tombe contenenti i resti di bambini e adolescenti sepolti come offerte al momento della costruzione della prima delle tre contenitori in stile Wari con una forma a "D". Questi reperti fanno parte di un possibile rituale svolto al momento dell'inizio della costruzione di questi spazi religiosi in stile wari. Nel secondo recinto a forma di “D” è stata scoperta una tomba con offerte legate ad una tradizione locale durante la Fase 3 di Santa Rosa (850 – 900 dC). La tomba conteneva una brocca con iconografia Mochica, una bottiglia nel noto stile del primo Sicán (dalla valle di La Leche) o in stile proto-Lambayeque (dalla valle di Jequetepeque), una pentola con decorazione paleteado e un coltello o tumi con una lama a forma di mezza luna.

Tali scavi hanno rivelato, per la prima volta, l'esistenza di un tempio del periodo formativo , contemporaneo alla fine della cultura Chavín, che ha caratteristiche totalmente diverse da quelle precedentemente trovate a Lambayeque. Costruito con muri fatti di fango come cassaforma, che includono mazze di argilla come prototipi di mattoni all'interno delle mura, ha una pavimentazione molto elaborata, soffitti realizzati con resti vegetali e mostra prove dell'incenerimento di oggetti. Secndo gli studiosi questo tempio fu costruito da un gruppo umano con caratteristiche locali legate alle montagne , a dimostrazione che negli anni dal 400 al 200 a. C. c'erano diverse comunità sulla costa con interazioni verso la montagna e che mostrano anche marcate differenze con i gruppi del Periodo Formativo che si trovano nella parte bassa della valle, a Collud e Ventarrón.


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a cura della redazione, 21 marzo

Gli archeologi li chiamano “cucchiai”. Hanno un’età compresa tra 2.200 e 2000 anni e sono stati trovati a Crosby Ravensworth nell’Eden Valley nel 1868. Secondo l’edizione del 1869 del "The Archaeological Journal", sono stati trovati da un contadino vicino a una sorgente d’acqua. C’era un piccolo tumulo vicino alla sorgente, nel quale sono stati trovati pezzi di pietra da taglio che erano stati evidentemente sottoposti all’azione del fuoco, e alcune tracce di cenere e di terra bruciata terra. La cosa strana è che tali oggetti non sono stati trovati insieme, ma a sette metri di distanza l’uno dall’altro nel terreno paludoso che circonda la sorgente e a una profondità di circa mezzo metro. Non ce ne sono molti altri simili, ne sono stati trovati solo 25 tra Gran Bretagna, Irlanda e Francia, e sempre in coppia, tutti con la stessa “decorazione” di base: uno dei due è inciso con linee che lo dividono in quattro quarti e l’altro ha un foro praticato su un lato. 

Hanno un "manico" poco profondo, simile a un’estremità abbastanza grande da poter essere afferrata tra il pollice e l’indice. Su entrambe le due impugnature è inciso un cerchio: uno è più piccolo e al suo interno sono tratteggiate due forme, simili a embrioni, unite da una linea irregolare, che ricordano lo Yin e lo Yang; l'altro, più grande, contiene un disegno più complesso, nel quale sembra essere circoscritto un triskele. Non sono ovviamente fatti per mangiare. Si è ipotizzato, però, abbiano uno scopo rituale, forse battesimale. Il British Museum, che li costudisce, suggerisce che potrebbero anche aver avuto uno scopo divinatorio, con il liquido che veniva sgocciolato dal cucchiaio con il foro sul cucchiaio diviso in quattro quarti. 

In questo caso, tra le ipotesi, gli studiosi suggeriscono che possano essere stati utilizzati acqua, birra o sangue, o comunque un liquido piuttosto viscoso, forse anche l'albume d’uovo. Nessuno dei 25 cucchiai è stato trovato, per quanto ne sappiamo vicino a insediamenti. La maggior parte proviene da paludi, fiumi e sembra siano stati sepolti deliberatamente. Alcuni sono stati trovati persino nelle tombe. D’altronde per i Celti, come per altri popoli prima di loro, la terra acquosa era una terra di mezzo, una sorta di portale per comunicare con gli inferi. E il fatto che oggi continuiamo a buttare monete in pozzi, fontane o sorgenti suggerisce che questo istinto è ancora profondamente radicato in noi.


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a cura della redazione, 20 marzo

Un enigmatico oggetto rituale, dell'età del bronzo, è stato scoperto in una sepoltura della cultura Tagar nella Siberia meridionale. La tomba è stata portata alla luce nel cimitero di Kazanovka nel bacino di Minusinsk nel 2020. Al suo interno era sepolto il corpo di una donna, in un kurgan diviso in due recinti da lastre verticali di arenaria. In un'apparente continuazione dei rituali funebri della cultura Karasuk, la donna era stata sepolta con pezzi di carne e le carcasse di un vitello e di una pecora. Accanto alle carcasse sono stati trovati un coltello di bronzo e un punteruolo in una custodia di pelle. La testa di un cavallo era stata posta sul coperchio della tomba, costituita da una fossa rettangolare con un bordo a gradini. Grandi pietre ricoprivano il perimetro con piccole lastre che riempivano gli spazi vuoti. Il corpo era sepolto in posizione supina, la testa girata a ovest e le braccia tese lungo il corpo. 

Era decorato in modo molto elaborato: accanto al suo bacino c'era uno specchio circolare di bronzo con tracce di un sacchetto di pelle rossa. Placche di bronzo e spille sono state trovate accanto alla spalla destra. Vicino al suo gomito destro, invece, è stato rinvenuto lo strano oggetto, la cui parte superiore era una “X” composta da tubolari filettati di bronzo e perline a cappuccio intervallate da perline di corniola. Dalla parte inferiore, anch’essa realizzata con perline tubolari di bronzo e di argillite bianca, pendeva una zanna di cinghiale. 

Al centro, gli archeologi hanno rilevato brandelli di quella che potrebbe essere stata una borsa di stoffa di seta e il frammento di costola umana. Altre sepolture nella regione hanno perline, ossa di animali, zanne di cinghiale o cervo muschiato e artigli di uccelli, rinvenute quasi sempre in associazione all'interno di sepolture femminili. Mai prima d'ora, però, in un contesto tagario così antico, gli archeologi avevano trovato qualcosa di simile. La spiegazione potrebbe venire da parallelismi etnografici con altre culture della zona. 

La cultura Tagar, che prende il nome da un'isola nel fiume Yenisei ed era la cultura archeologica dominante nel bacino di Minusinsk in Khakassia dalla tarda età del bronzo all'età del ferro, cioè dall'VIII al III secolo a.C. circa, fu preceduta dalla cultura Karasuk dell'età del bronzo e dalla cultura di Tashtyk, che esistevano parallelamente alla cultura degli Sciti in Crimea e sulle coste settentrionali del Mar Nero. In questa prospettiva, l’osso umano custodito nell'amuleto potrebbe essere assimilato a un culto sciamanico, come quello praticato dal popolo Yukaghir, lungo il bacino del fiume Kolyma nelle regioni dell'estremo nord-est della Siberia, del quale è stata documentata la tradizione di sezionare il corpo di uno sciamano in amuleti.


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a cura della redazione, 19 marzo

Una collana ad anello d'oro, unica nel suo genere, è stata scoperta su un piccolo promontorio che si protende nella palude intorno a Ilsted, nel sud della Danimarca. Il promontorio è circondato su tre lati da zone umide e offre a malapena lo spazio per un comune podere dell'età del ferro germanico (400-550 d.C.). Secondo gli studiosi ci sono indicazioni che il sito abbia avuto una funzione diversa rispetto a una normale fattoria. Ma più indagini in loco devono determinarlo. Dalla Danimarca si conoscono solo una decina di collane simili. Quella di Ilsted, però, risulta essere abbastanza insolita, sia per la piastra saldata sul suo retro e l'ampio fregio con sottili fili d'oro, sia per il luogo del suo ritrovamento. 

La collana pesa  446 grammi, una frazione sotto una libbra, ed è larga 20 centimetri nel punto più largo. È costituita da un lungo pezzo d'oro a forma di bastoncino ripiegato su se stesso alle estremità per creare una forma ad anello. Le estremità si sovrappongono per circa 1/3 della lunghezza della collana e una placca d'oro è saldata sul retro per creare una terza tela. Le estremità sovrapposte dell'asta sono decorate con una depressione a forma di mezzaluna impressa nell'oro. La decorazione è così meticolosamente dettagliata che le forme a mezzaluna sui due anelli sono leggermente diverse: le mezzelune sull'anello esterno hanno otto avvallamenti decorativi al loro interno, le mezzelune su quelli interni ne hanno sei. La placca d'oro ha sei fili d'oro a coste nella parte inferiore, intrecciati insieme a due a due per creare un effetto chevron. Un filo d'oro attorcigliato a spirale scorre al centro della treccia.In Danimarca sono state trovate solo dieci collane d'oro comparabili con decorazioni stampate, e questa è di gran lunga la più elaborata.

Precedenti esempi di "anelli da collo" di questo periodo sono stati trovati in coppia. Questo è l'unico esemplare con una piastra saldata con intricate decorazioni a filo. È stato scoperto con il metal detector da Dan Christensen nell'ottobre 2021. Christensen lavora come esploratore archeologico per il Museo dello Jutland sudoccidentale. Nella settimana successiva alla scoperta, l'intero campo è stato scansionato per verificare se ci fossero altri oggetti preziosi, disseminati nell'area. 

Non è emerso nulla. Un successivo scavo del sito ha rivelato prove di un insediamento sotto un sottile strato di terreno arato, compresi i fori dei pali portanti del tetto di più case lunghe a tre navate datate tra il 300 e il 600 d.C.. La collana è stato trovata all'interno di una delle case. Gli archeologi ritengono che sia stato sepolto dove è stato trovato. Questo è un contesto insolito per oggetti simili, poiché la maggior parte di essi è stata trovata nelle zone umide dove venivano depositati come offerte votive agli Dei. Il sito del ritrovamento si trova su un promontorio circondato da paludi su tre lati. Il fatto che questa collana sia stata sepolta all'interno di una casa, quando le zone umide erano disponibili a pochi passi in ogni direzione, suggerisce che fosse stata deliberatamente nascosta per tenerla al sicuro durante un periodo di pericolo o agitazione, ma il proprietario non è mai stato in grado di recuperarlo.


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Uno studio internazionale della Valle del Sado, in Portogallo, suggerisce che i popoli mesolitici europei potrebbero aver eseguito trattamenti come l’essiccazione attraverso la mummificazione già 8.000 anni fa...

Uno studio internazionale della Valle del Sado, in Portogallo, suggerisce che i popoli mesolitici europei potrebbero aver eseguito trattamenti come l’essiccazione attraverso la mummificazione già 8.000 anni fa…


a cura della redazione, 3 marzo

Fino ad ora, i casi più antichi di mummificazione intenzionale erano noti dai cacciatori-raccoglitori Chinchorro che vivevano nella regione costiera del deserto di Atacama nel nord del Cile circa 7.000 anni fa, tuttavia, la maggior parte delle mummie sopravvissute in tutto il mondo sono più recenti, databili tra pochi cento anni e fino a 4000 anni fa. Fotografie scoperte di recente dagli scavi degli anni ‘60 nella Valle del Sado hanno permesso agli archeologi di ricostruire le posizioni in cui furono sepolti i corpi, fornendo un’opportunità unica per saperne di più sui rituali funerari che si svolgevano 8.000 anni fa. 

Questa scoperta è stata fatta dai ricercatori in connessione con un’analisi di tombe del Mesolitico, Mesolitico, in Portogallo. I risultati dello studio, condotto in collaborazione tra l’Università di Uppsala, l’Università di Linnaeus e l’Università di Lisbona, sono stati pubblicati sull’European Journal of Archaeology. Lo studio a combinato archeologia e archeotanatologia, un metodo utilizzato per documentare e analizzare i resti umani, raffrontando la decomposizione umana con le osservazioni della distribuzione spaziale delle ossa, con la collaborazione del Forensic Anthropology Research Facility presso la Texas State University. Gli archeologi hanno così potuto ricostruire come il cadavere sia stato maneggiato dopo la morte e come sia stato sepolto, anche se sono trascorsi diversi millenni. L’analisi ha mostrato che alcuni corpi erano sepolti in posizioni estremamente flesse con le gambe piegate all’altezza delle ginocchia e posti davanti al petto. 

L’iperflessione degli arti, l’assenza di disarticolazione in parti significative dello scheletro e un rapido riempimento di sedimenti attorno alle ossa indicano, secondo gli studiosi, un processo di mummificazione. Durante la decomposizione, infatti, le ossa di solito si disarticolano in corrispondenza delle giunture deboli, come i piedi, ma nei casi studiati sono rimaste in posizione. I ricercatori propongono che questo schema di iperflessione e mancanza di disarticolazione potrebbe essere spiegato se il corpo non fosse stato deposto nella tomba come un cadavere fresco, ma in uno stato essiccato come un cadavere mummificato. “Questi sono reperti insoliti. Le mummie più famose al mondo sono significativamente più giovani e si stima che abbiano un’età compresa tra 4.000 e un paio di centinaia di anni. Ma possiamo dimostrare che i corpi venivano intenzionalmente trattati per essere essiccati e mummificati prima della sepoltura già nel Mesolitico. Tale forma di rituale di sepoltura non è mai stata dimostrata prima nell’età della pietra dei cacciatori europei”, afferma nel comunicato stampa Rita Peyroteo Stjerna, archeologa e ricercatrice dell’Università di Uppsala, che insieme a Liv Nilsson Stutz dell'Università di Linnaeus è la prima autrice dello studio. 

L’essiccazione non solo mantiene alcune di queste articolazioni altrimenti deboli, ma consente anche una forte flessione del corpo poiché l’intervallo di movimento aumenta quando il volume dei tessuti molli è minore. Poiché i corpi sono stati essiccati prima della sepoltura, c’è pochissimo o nessun sedimento presente tra le ossa e le articolazioni sono mantenute dal continuo riempimento del terreno circostante che sostiene le ossa e impedisce il collasso delle articolazioni. I ricercatori suggeriscono che i modelli osservati potrebbero essere il prodotto di un processo di mummificazione naturale guidato. La manipolazione del corpo durante la mummificazione sarebbe avvenuta per un lungo periodo di tempo, durante il quale il corpo si sarebbe gradualmente essiccato per mantenere la sua integrità corporea e contemporaneamente si sarebbe contratto legandosi con una corda o bende per comprimerlo nella posizione desiderata. 

Al termine del processo, il corpo sarebbe stato più facile da trasportare, essendo più contratto e significativamente più leggero del cadavere fresco, assicurando che fosse sepolto mantenendo il suo aspetto e l’integrità anatomica. Se la mummificazione in Europa è più antica di quanto suggerito in precedenza, emerge una serie di intuizioni relative alle pratiche funebri delle comunità mesolitiche, inclusa una preoccupazione centrale per il mantenimento dell’integrità del corpo e la sua trasformazione fisica da cadavere a mummia curata. Queste pratiche sottolineerebbero anche il significato dei luoghi di sepoltura e l’importanza di portare i morti in questi luoghi in modo da contenere e proteggere il corpo, seguendo principi culturalmente regolati, evidenziando il significato sia del corpo che del luogo di sepoltura in Portogallo mesolitico 8.000 anni fa.


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Da tempo si pensava che il sito megalitico fungesse da calendario antico, dato il suo allineamento con i solstizi. Ora, la ricerca ha identificato come potrebbe aver funzionato, individuando connessioni con l'Antico Egitto…

Da tempo si pensava che il sito megalitico fungesse da calendario antico, dato il suo allineamento con i solstizi. Ora, la ricerca ha identificato come potrebbe aver funzionato, individuando connessioni con l'Antico Egitto…   


a cura della redazione, 2 marzo 

Nuove scoperte sulla storia del gigantesco cerchio di pietre britannico, insieme all’analisi di altri antichi sistemi calendariali, hanno spinto il professor Timothy Darvill guardare Stonehenge in una nuova ottica. La sua analisi, pubblicata sulla rivista Antiquity, ha concluso che il sito è stato progettato come un calendario solare e non lunare, come ipotizzato in precedenza. “Il chiaro allineamento solstiziale di Stonehenge suggerivano che il cerchio di sarsen rifletta un mese di 30 giorni - afferma Darvill in un comunicato stampa della Bournemouth University - ma le nuove scoperte hanno messo a fuoco la questione e indicano che il sito era un calendario basato su un anno solare tropicale di 365,25 giorni”. 

Secondo Darvill, i 360 giorni dei 12 mesi che compongono l'anno erano seguiti da cinque giorni epagomenali, segnati dai cinque massicci "triliti" - coppie di sarsen sormontate da una terza pietra dell'architrave - all'interno del cerchio principale (due dei montanti dei triliti e due degli architravi sono ora mancanti). Ricerche recenti, infatti, avevano dimostrato che i sarsen di Stonehenge erano stati aggiunti durante la fase di costruzione intorno al 2500 a.C.. Provenivano dalla stessa zona e successivamente sono rimasti nella formazione. Ciò indica che il luogo fu lavorato come una singola unità. In quanto tale, Darvill ha analizzato queste pietre, esaminandone la numerologia e confrontandole con altri calendari conosciuti di questo periodo. Il professore ha identificato un calendario solare nella loro disposizione, suggerendo che servissero come rappresentazione fisica dell’anno, che aiutava gli antichi abitanti del Wiltshire a tenere traccia dei giorni, delle settimane e dei mesi per celebrare precisi rituali e cerimonie, come nell'Antico Egitto. “Il calendario proposto funziona in modo molto semplice. Ognuna delle 30 pietre nel cerchio di sarsen rappresenta un giorno all’interno di un mese, diviso a sua volta in tre settimane ciascuna di 10 giorni”, afferma lo studioso, osservando che le pietre distintive segnano l'inizio di ogni settimana. Inoltre, per corrispondere all’anno solare erano necessari un mese intercalare di cinque giorni e un giorno bisestile ogni quattro anni. 

LO SAPEVI CHEIncastonato nell'impronta e nell'architettura di tutti e tre gli elementi sarsen c'è un unico asse astronomico coerente: una linea orientata da nord-est a sud-ovest. Questa linea unisce i punti degli orizzonti localmente visibili dove il sole sorge durante il solstizio d'estate a nord-est e tramonta durante il solstizio d'inverno a sud-ovest. Questo è l'unico grande allineamento incorporato nell'architettura di Stonehenge, sebbene il posizionamento del trilito sud-occidentale incorpora un asse solstiziale secondario strettamente correlato basato sulle posizioni dell'orizzonte del sole di metà inverno che sorge a sud-est e del sole di mezza estate che tramonta a nord-ovest.

Il mese intercalare, probabilmente dedicato alle divinità del sito, è rappresentato dai cinque triliti al centro - spiega il ricercatore - le quattro Station Stones al di fuori del circolo sarsen forniscono marcatori per la tacca fino a un salto del giorno”. In quanto tali, i solstizi d’inverno e d‘estate sarebbero incorniciati dalle stesse coppie di pietre ogni anno. Uno dei triliti inquadra anche il solstizio d’inverno, indicando che potrebbe essere stato legato al nuovo anno. Questo allineamento solstiziale aiuta a calibrare il calendario: eventuali errori nel conteggio dei giorni sarebbero facilmente rilevabili, poiché il sole sarebbe risultato nel posto sbagliato in corrispondenza dei solstizi. 

LO SAPEVI CHE - All'interno del circolo di sarsen ci sono cinque triliti disposti a forma di ferro di cavallo che si aprono a nord-est. Tutte le pietre sopravvivono sul posto, anche se alcune sono cadute. Il trilito sud-occidentale è il più alto e il più grande; le altre si riducono in altezza verso nord-est, dando risalto sia verticale che orizzontale al trilito sud-occidentale. Tutte le pietre del ferro di cavallo sono state modellate e rifinite, con incastri a tenone che fissano gli architravi ai montanti.

Un tale calendario, con settimane di 10 giorni e mesi extra, può sembrare insolito oggi. Tuttavia, calendari come questo furono adottati da molte culture durante lo stesso periodo. “Un calendario solare simile fu sviluppato nel Mediterraneo orientale nei secoli successivi al 3000 a.C. ed è stato adottato in Egitto come calendario civile intorno al 2700 ed è stato ampiamente utilizzato all’inizio dell'Antico Regno intorno al 2600 a.C.”, ricorda Darvill. Ciò solleva la possibilità che il calendario tracciato da Stonehenge possa derivare dall’influenza di una di queste culture. I ritrovamenti nelle vicinanze suggeriscono tali connessioni: il vicino arciere di Amesbury, sepolto nelle vicinanze nello stesso periodo, è nato sulle Alpi e si è trasferito in Gran Bretagna da adolescente. Il professor Darvill spera che la ricerca futura possa far luce su queste possibilità. DNA antico e reperti archeologici potrebbero darne la prova definitiva. Trovare un calendario solare rappresentato nell’architettura di Stonehenge apre un modo completamente nuovo di vedere il monumento come un "luogo per i vivi", un luogo in cui i tempi delle cerimonie erano collegati al tessuto stesso del universo e movimenti celesti, che testimonia l'esistenza di una Tradizione unica.


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Scheletri ricomposti, custoditi in tombe di pietra, svelano una tecnica post mortem peruviana, legata ad antiche credenze dei popoli del nord delle Ande, presenti anche in Egitto…


a cura della redazione, 5 febbraio

La manipolazione post mortem di corpi umani è documentata in molte regioni del mondo, compreso il Sud America. Recenti ricerche archeologiche sul campo nella valle del Chincha, in Perù, aggiungono a questo catalogo quasi 200 esempi di infilatura di vertebre umane su pali di canne. Un team di ricercatori, guidato da Jacob Bongers, dell’Università dell’East Anglia, ne ha trovato 192 esemplari custoditi in tombe di pietra. Si tratta di resti modificati, che rappresentano un preciso processo sociale. Tale manipolazione, infatti, riflette la volontà di mantenere una relazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, secondo antiche credenze. La datazione al radiocarbonio, però, indica i perni risalgono al periodo coloniale, tra il 1450 e il 1650 d.C., quando gli europei saccheggiavano le tombe del popolo Chincha, la cui popolazione contava fino a 30.000 abitanti, tra il 1000 e il 1400 d.C.. 

È plausibile ipotizzare che i resti dei defunti siano stati recuperati dopo un saccheggio e ricomposti, ma non si può escludere che la pratica fosse antecedente e che sia stata semplicemente rispettata dopo l’invasione straniera. Coloro che sopravvissero alla colonizzazione potrebbero aver infilato le ossa sparpagliate dei loro cari sulle canne, nel tentativo di ricostruire le sepolture profanate. L’analisi dei singoli perni, ha mostrato che la maggior parte delle vertebre sovrapposte apparteneva a una sola persona, anche se alcune erano incomplete e le ossa sembra siano state infilate fuori ordine. Per gli studiosi, questo mostrerebbe che le ossa sono state comunque prelevate dopo che i corpi si erano decomposti; ma non sono stati in grado, al momento di stabilire se la decomposizione facesse parte di un rituale più antico. 

Le vertebre su perno sono state documentate all'interno di 88 chullpa. Tali tombe hanno attributi architettonici variabili. Alcune sono sotterranee, altre sono costruite con pietra di campo, adobe e tapia (fango versato) e presentano aperture, prove di coperture e piattaforme interne, possibilmente per l’esposizione di resti umani e offerte. All’interno delle sepolture sono stati rinvenuti anche tessuti molli. Le analisi bioarcheologiche dei chullpa sotterranei hanno rivelato persino resti mummificati e molte pupe di insetti, la cui presenza nelle tombe suggerisce che i corpi dei defunti sano stati esposti a un processo di scarnificazione prima della sepoltura. Un esempio di comportamento ritualizzato che testimonia antichi culti ancestrali. 

È altrettanto possibile ipotizzare che i popoli indigeni abbiano recuperato resti umani, come capelli e unghie, per ricostituire nuove immagini di culto, che potrebbero aver funzionato come sostituti di effigi. Certo è che, averne trovate 192 e il fatto che siano così diffuse su quel lembo di terra - le troviamo in tutta la Valle dei Chincha - indica che più persone hanno agito in modo condiviso, con una pratica che sembra sia stata considerata da un intero gruppo sociale il modo più appropriato di interagire con l'Adilà. 

FOTO ©Adriano Forgione

     
  «Questo rituale ricorda la ricomposizione del corpo di Osiride tra gli Egizi. L'impiego delle vertebre impilate in questo rituale trova, difatti, corrispondenza allegorica nel mondo antico associato al simbolismo dello Djed, la colonna dorsale del dio Osiride, simbolo di Giustizia, Stabilità e Vita Eterna. In quanto amuleto legato alla vittoria sulla morte è relazionato alla manifestazione di colui che è ponte tra Cielo e Terra. La resurrezione di Osiride, infatti, nella forma del giovane dio solare Horus, suo figlio, è un simbolismo “kundalinico”, l’energia di resurrezione che nell’Induismo è correlata alla manifestazione del Corpo Glorioso attaverso l’attivazione dei 7 Chakra lungo la colonna vertebrale», spiega Adriano Forgione, direttore della rivista Fenix, esperto di Misteri della Storia e del Sacro.


Qual è il rapporto tra decomposizione e manipolazione del corpo post mortem? Secondo lo studio le parti del corpo del defunto continuavano a vivere ben oltre la morte biologica. Recenti ricerche sul aDNA (DNA antico) dei resti di una delle tombe suggerisce che provenissero da individui non locali. I dati sull’intero genoma sono stati raccolti da campioni di denti associati a due crani, trovati disarticolati.

Ovviamente non è stato possibile stabilire la relazione tra questi individui campionati per l’analisi genetica e le otto vertebre sui perni trovati nel chullpa. Tuttavia, gli studiosi hanno ipotizzato che si tratti di individui geneticamente più simili ai popoli antichi della costa nord peruviana. Si può supporre che il loro arrivo possa aver creato comunità cosmopolite, determinando nuove relazioni socio-politiche, che hanno reso necessaria una nuova forma di pratica funeraria: l’inserimento di pali di canne attraverso vertebre non locali. 

Da questo punto di vista, le vertebre sui pali potrebbero aver incarnato, all’interno dei chullpa, differenze sociali tra locali e no. In alternativa, anche le popolazioni non locali avrebbero potuto portare con sé le vertebre sui pali a Chincha. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori analisi genetiche e isotopiche stabili per comprendere le origini e le identità degli individui selezionati per questa pratica. Da non sottovalutare, però, il fatto che il mantenimento dell’integrità dei cadaveri era fondamentale anche per le società al di fuori delle Ande. 

La “ricostruzione” di corpi depredati e disaggregati non era limitata al Sud America. Una pratica simile è stata riscontrata in Egitto. Un esempio lo troviamo nel sito di Kellis, a Ismant el-Kharab nell’oasi egiziana di Dakhle, occupato dal periodo tolemaico (332–30 a.C.) fino al 400 d.C., dove le mummie sono state depositate in camere tombali dotate di aperture, come nel caso dei chullpa di Chincha. Uno studio del 2004 documenta anche qui l’uso di bastoncini di legno, resina e lino per ricostruire i corpi, presumibilmente perturbati a seguito di un saccheggio. Le parti smembrate erano state steccate utilizzando costole a foglia di palma, che sono state anche frequentemente inserite nelle colonne spinali. Pur dovendo essere cauti nel tracciare questo confronto interculturale, le somiglianze tra i casi andini e quelli dell'Antico Egitto sono sorprendenti, poiché rivelano similitudini in un lasso di tempo che non corrisponderebbe con l'era coloniale in Perù e a una distanza di migliaia di chilometri  tra due culture separate da un oceano.


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Misterioso tumulo regale nel nord della Tuva. Gli archeologi scoprono i resti di una donna ornata con un raro pettorale d’oro a forma di mezzaluna...


Nauka W Polsce, 14 gennaio

Nel nord della Tuva, una repubblica autonoma nella parte asiatica della Federazione Russa, si estende quella che gli archeologi chiamano la “Valle dei Re siberiana” per le numerose, enormi tombe a tumulo, con ricchi arredi, risalenti a oltre 2.500 anni fa. Qui una spedizione russo-polacca, guidata dal dottor Łukasz Oleszczak dell’Università Jagellonica di Cracovia, ha scoperto i resti di una donna ornata con un raro pettorale d’oro a forma di mezzaluna. Il tumulo dove è stato rinvenuto il corpo si trova a Chinge-Tey, nella valle Turano-Ujukska. Il suo corredo funerario comprendeva anche orecchini d’oro, un coltello di ferro e un pettine di legno inciso collegato da un anello di cuoio a uno specchio di bronzo. 

Si pensa che la sepoltura risalga al VI secolo a.C., quando la valle fu occupata dalla cultura nomade degli Sciti Alda-Bielsko. Allora, la valle del Turano-Ujuk era uno dei centri rituali più importanti dell’intero mondo scita-siberiano. È da qui, dalle montagne della Siberia meridionale, che proviene questo misterioso popolo che dominò le steppe dell’Europa orientale. Molto di quello che sappiamo di questa gente dagli occhi cerulei e dai capelli color fuoco ce lo ha tramandato Erodoto. Insediatisi lungo la costa settentrionale del Mar Nero, gli Sciti vengono descritti come abili domatori di cavalli e arcieri formidabili, legati a inquietanti tradizioni, come bere il sangue del proprio avversario abbattuto in battaglia.

LO SAPEVI CHE: Tamara Rice, in “Gli Sciti” (Il Saggiatore, 1958) afferma che presso questo popolo fosse diffuso il culto della Grande Dea, già adorata nella Russia meridionale prima del loro avvento, raffigurata in numerosi reperti rinvenuti nei corredi funebri talvolta con il corpo metà umano e metà di serpente, spesso circondata dai suoi animali sacri, il cane e il corvo. Con uno scettro o uno stendardo, figurava quale protettrice del capotribù e nume tutelare dei giuramenti, oppure al centro di un rituale di iniziazione. È stato ipotizzato che le principesse e le spose dei sovrani sciti fossero inoltre le sacerdotesse della Grande Dea e che, in occasione dei riti, indossassero abiti particolari, gli stessi che le avrebbero accompagnate nell’oltretomba.

Erodoto attesta una straordinaria fascinazione negli Sciti per l’oro, metallo di valenza magica e fondamento del potere, in quanto ponte tra l’umano e il divino. Per questo popolo il re era il custode dell’oro sacro. Un altro elemento fondamentale della vita di questi nomadi era il cavallo: compagno in vita e nell’oltretomba. Dal suo latte ricavavano una bevanda particolare: il kumys. C'è chi sostiene appartenessero a un gruppo indoeuropeo di ceppo iranico e chi invece ne identifica le origini nei popoli ugro-altaici. Alcuni ricercatori ritengono, infatti, che discendessero dalla cultura Srubnaya, la così detta civiltà delle tombe di legno, vissuta durante l'età del bronzo tra il Volga e il nord del Mar Nero; altri invece pensano che gli Sciti provenissero dall'Asia centrale o addirittura dalla Siberia e che poi, nel corso delle loro migrazioni, abbiano finito per fondersi con le popolazioni preesistenti nella zona.

Il tumulo, danneggiato al punto da essere quasi livellato, è stato rilevato solo grazie alla scansione laser aerea, che ha individuato la struttura circolare di oltre 25 metri di diametro. Scavando gli archeologi hanno scoperto al suo centro una camera funeraria in legno. Era stata costruita su una struttura di assi di legno a incastro, sormontata da tre strati di travi per formare una volta. 

All’interno c’erano gli scheletri della donna, di circa 50 anni, e di un bambino di due o tre anni. Gli studiosi stanno ancora analizzando gli ornamenti organici rinvenuti in situ, che ricordano le usanze scite di indossare strumenti e vesti fatti gli scalpi dei loro nemici, in particolare scettri rivestiti con spirali di pelle umana a forma di serpente. “Un monumento particolarmente interessante, come il pettorale d'oro, un ornamento a forma di mezzaluna o lunare appeso al collo” - osserva Oleszczakel nel comunicato stampa, sottolineando che tali oggetti, presenti nei tumuli funerari nella Siberia meridionale, sono stati trovati, finora, quasi esclusivamente in tombe di uomini e sono considerati un simbolo di appartenenza a qualche gruppo sociale, una casta, forse sacerdotale. “Metterlo nella tomba di una donna è un allontanamento molto interessante da questa usanza. Dimostra certamente il ruolo unico della defunta nella comunità degli abitanti della Valle dei Re”, spiega l’archeologo. 

La donna è stata sepolta nella parte centrale della tomba situata nelle immediate vicinanze di un altro grande tumulo appartenente – come ritengono gli studiosi – al principe dei nomadi. Nel 2021, gli archeologi polacchi hanno continuato le loro ricerche, i cui scavi erano iniziati due anni prima. Poi trovarono due sepolture: quella centrale, derubata, e quella laterale, che era intatta e conteneva il corpo di un giovane guerriero. Si tratta di una delle 10 tombe poste in fila sull’asse nord-sud nella parte occidentale della necropoli. Durante l’ultima stagione di scavi è stata scoperta anche una seconda tomba, che si trova all’esterno della trincea che circonda il tumulo. Era lo scheletro di un adolescente, posto in una piccola fossa con una staccionata di pietra. Era stato spogliato di qualsiasi attrezzatura. 

Le sepolture di bambini attorno al perimetro dei tumuli o appena fuori dal fossato che circonda la tomba sono un elemento permanente del rito funebre di questa prima cultura scitadice Oleszczak. Gli archeologi hanno trovato prove che attorno al perimetro del tumulo era stato depositato un tesoro di oggetti in bronzo, andato disperso a causa dei lavori agricoli effettuati nella zona durante il XX secolo. Ciò è dimostrato dal ritrovamento di diverse dozzine di parti di una fila di cavalli, un'ascia di bronzo, probabilmente utilizzata per gli scalpi che questo popolo era solito fare dei propri nemici, e un ornamento a forma di capra, emblema della loro cultura zoomorfa. La loro rilevazione è stata possibile grazie all’utilizzo di un metal detector. Gli scavi, ancora in corso, sono stati condotti in collaborazione con gli scienziati del Museo statale dell'Ermitage di San Pietroburgo, sotto la direzione di Konstantin V. Chugunov, grazie ai fondi del National Science Center.


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