Un misterioso ominide di 1,5 milioni di anni fa cambia la storia dell’evoluzione umana.…


a cura della redazione, 3 febbraio

Israele e il Levante sono il ponte terrestre naturale tra l’Africa e l’Eurasia. Qui non erano mai state trovate ossa fossili di ominidi della profonda preistoria. Né, fino a poco tempo fa, erano state trovate prove di utensili arcaici. Ora però, nella rift valley del Giordano, a Ubeidiya, è stata scoperta una vertebra di ominide, decisamente sproporzionata, di almeno 1,5 milioni di anni, associata ad asce di tipo acheuleano relativamente avanzate. Nello stesso luogo sono stati trovati anche strumenti di pietra primitivi, che risalirebbero a 3,3 milioni di anni fa. Questo significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.

Nonostante gli scienziati abbiano stabilito che si tratti dell'osso di un nostro possibile antenato, il reperto risulta estremamente più grande rispetto a quello di un habilis erbaceo (simile a una scimmia) e sicuramente più grande anche degli erectus africani, come quello recuperato in Kenya, anni fa. Quello trovato vicino al Mar di Galilea sarebbe appartenuto a un bambino, ma è talmente “grosso” che gli studiosi ne ipotizzano una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri. Lo studio su questo fossile di ominide, il più antico in Israele, è stato pubblicato il 2 febbraio scorso su “Scientific Reports” da un team internazionale guidato da Alon Barash, della Facoltà di Medicina Azrieli dell’Università di Bar-Ilan.

Il frammento di scheletro è stato dissotterrato nel 1966, ma solo ora lo si è riconosciuto per quello che è in realtà, cambiando i paradigmi della storia dell’evoluzione umana. L’osso trovato a Ubeidiya, a nord di Israele, dimostrerebbe, per la prima volta, una migrazione a ondate di ominidi arcaici dall’Africa durante il Gelasiano, il periodo più arcaico del Pleistocene. A detta dei paleoantropologi, appartiene a un corpo morfologicamente di tipo bipede e proviene dalla parte bassa della schiena, nota anche come regione lombare. Dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base all’ossificazione. Il soggetto da cui proviene la vertebra non aveva finito di crescere. 

Come lo hanno stabilito? La vertebra preistorica non era completamente ossificata e proveniva da un ominide dall’altezza presunta di un metro e mezzo. Il suo peso complessivo sarebbe stato tra i 45 e i 50 chili. Prendendo a parametro l'ossificazione vertebrale dell'uomo moderno, gli studiosi in un primo momento hanno ipotizzato che il bambino del Pleistocene avesse dai 3 e ai 6 anni quando è morto, perché è a quell'età che termina in genere tale processo delle vertebre umane. Il che si tradurrebbe in dimensioni gigantesche inspiegabili. Secondo gli scienziati, potrebbe trattarsi di un modello di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte. Un tentativo di adattare i reperti al paradigma convenzionale per non stravolgere tutto? 

La storia dell’osso, inizia nel 1959, quando un membro del Kibbutz Afikim di nome Izzy Merimsky stava demolendo un terreno in preparazione per l’agricoltura. Improvvisamente l'uomo si accorse che la sua macchina stava portando alla luce ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Non sapevano cosa fossero, perché erano irrimediabilmente fuori dal contesto archeologico. Comunque, Merimsky chiamò le autorità. Gli scavi iniziarono nel 1960 e divenne chiaro che il sito era “profondamente” preistorico. Nel 1966, l’archeologo Moshe Stekelis portò alla luce la vertebra che avrebbe cambiato la storia dell’evoluzione umana. Ma non subito. Per qualche motivo l’osso fu messo in una scatola con la scritta “Homo?” – con il punto interrogativo – e dimenticata lì. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito, per capire se ci fosse un animale tropicale e se l’area era ghiacciata o no all’epoca. Fu allora che riscoprì quel pezzo di spina dorsale. Bastò uno sguardo perché capisse che non era una scimmia. Da allora iniziò un’incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. “Non era un Australopiteco, non un elefante, non un gorilla e neppure un tritone. Ha caratteristiche distinte. Era un ominide bipede e di corporatura molto robusta”, dice Barash su “Haaretz”. 

Datato 1,5 milioni di anni, l’osso è il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa. I più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia, con uno scarto temporale di circa 300.000 anni, il che dimostra l’esistenza di diverse ondate migratorie mai ipotizzate prima. Una scoperta che rende il nostro "lignaggio" sempre più torbido. Oggi per gli scienziati è palese, infatti, che il bambino arcaico trovato nella Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non fossero della stessa specie. Inoltre la cultura degli strumenti di pietra del Georgicus è stata catalogata come di tipo oldowan primitivo, e non acheuleano avanzato. Il che porta gli studiosi a ipotizzare che l’ominide di Ubeidiya provenga da un’ondata migratoria separata rispetto a quelle nel Caucaso. Da dove venisse il piccolo "gigante" resta un mistero.


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Rinvenuti nel parco archeologico di Velia-Paestum i resti del più antico tempio arcaico dedicato alla dea, risalenti alle prime fasi di vita della città fondata intorno al 540 a.C. ...


Parco Archeologico Velia, 1 febbraio 

Scoperti nel parco archeologico di Velia-Paestum i resti del più antico tempio arcaico dedicato ad Athena risalenti alle prime fasi di vita della città fondata intorno al 540 a.C. Da anni si ipotizzava l'esistenza di una struttura sacra antecedente al tempio maggiore dell'Acropoli e gli scavi hanno riportato alla luce resti di muri, realizzati con mattoni crudi e intonacati, di quello che doveva essere un edificio rettangolare lungo quasi 20 metri. Ritrovate anche ceramiche dipinte, vasi con iscrizioni, frammenti metallici di armi e armature e due elmi, uno calcidese e un altro di tipo Negau - di epoca etrusca - in ottimo stato di conservazione. 

Sulla base di precedenti ricerche archeologiche avviate negli anni ’20 del secolo scorso, e proseguite con discontinuità fino agli anni ’90, si ipotizzava, anche se con forti dubbi, l’esistenza di una struttura sacra arcaica antecedente al tempio maggiore dell’Acropoli di Velia. In particolare si pensava ad una sua collocazione sul terrazzo più elevato della punta occidentale dell’Acropoli. I recenti scavi non solo hanno confermato l’esistenza di un edificio sacro ma ne hanno anche precisato la collocazione, la planimetria, la cronologia e il rapporto con le strutture più recenti. 

Gli archeologi del Parco hanno, infatti, riportato alla luce resti di muri realizzati con mattoni crudi, intonacati e fondati su zoccolature in blocchi accostati in poligonale, una tecnica utilizzata anche per le abitazioni di età arcaica rinvenute lungo le pendici dell’acropoli. Tali testimonianze disegnano un edificio rettangolare lungo almeno 18 metri ed ampio 7. La porzione interna della struttura è pavimentata con un piano in terra battuta e tegole, sul quale, in posizione di crollo, sono stati rinvenuti elementi dell’alzato, ceramiche dipinte, vasi con iscrizioni “IRE”, ovvero “sacro”, e numerosi frammenti metallici pertinenti ad armi e armature. 

Tra questi, due elmi, uno calcidese e un altro di tipo Negau, in ottimo stato di conservazione. “I rinvenimenti archeologici presso l’acropoli di Elea-Velia lasciano ipotizzare una destinazione sacra della struttura“, dichiara il Direttore Generale dei Musei e Direttore Avocante del Parco Archeologico di Paestum e Velia, Massimo Osanna, nel comunicato stampa. Con tutta probabilità in questo ambiente vennero conservate le reliquie offerte alla dea Athena dopo la battaglia di Alalia, lo scontro navale che vide affrontarsi i profughi greci di Focea e una coalizione di Cartaginesi ed Etruschi, tra il 541 e il 535 a.C. circa, al largo del mar Tirreno, tra la Corsica e la Sardegna. Liberati dalla terra solo qualche giorno fa, i due elmi devono ancora essere ripuliti in laboratorio e studiati. 

Al loro interno potrebbero esserci iscrizioni, cosa abbastanza frequente nelle armature antiche, e queste potrebbero aiutare a ricostruire con precisione la loro storia, chissà forse anche l’identità dei guerrieri che li hanno indossati. Certo si tratta di prime considerazioni che già così chiariscono molti particolari inediti di quella storia eleatica accaduta più di 2500 anni fa. Gli scavi hanno anche chiarito la cronologia del principale tempio della città dedicato alla dea Athena. La costruzione del tempio maggiore, almeno di una sua prima fase, deve collocarsi cronologicamente dopo la struttura sacra riportata alla luce in questi ultimi mesi. In seguito, in età ellenistica, l’intero complesso riceverà una completa risistemazione con la realizzazione di una stoà monumentale che cingerà il tempio maggiore e il piano di uso si eleverà a coprire tutte le fasi precedenti.

La struttura del tempio più antico risale al 540-530 a.C., ovvero proprio gli anni subito successivi alla battaglia di Alaliafa notare Osannamentre il tempio più recente, che si credeva di età ellenistica, risale in prima battuta al 480-450 a. C., per poi subire una ristrutturazione nel IV sec. a C. È possibile quindi che i Focei in fuga da Alalia l’abbiano innalzato subito dopo il loro arrivo, com’era loro abitudine, dopo aver acquistato dagli abitanti del posto la terra necessaria per stabilirsi e riprendere i floridi commerci per i quali erano famosi. E alle reliquie da offrire alla loro dea per propiziarne la benevolenza, aggiunsero le armi strappate ai nemici in quell’epico scontro in mare che di fatto aveva cambiato gli equilibri di forza nel Mediterraneo.”

Il lavoro, grazie ad un’ampia squadra di professionisti e collaboratori, dà risposta a questioni aperte da oltre settant’anni, su cui si sono espressi nel corso del tempo numerosi eminenti studiosi. I risultati hanno chiarito topografia, architettura, destinazione d’uso e cronologia delle varie fasi dell’Acropoli, dall’età del Bronzo al periodo ellenistico. – dichiara l’archeologo del Parco, Francesco Uliano Scelza nello stesso comunicatoAdesso si lavora ad ulteriori progetti che la presente ricerca ha ispirato, di fruizione, studio e valorizzazione. Tra questi, la rimodulazione dell’Acropoli, da rendere visibile e visitabile in ogni sua parte e la rielaborazione dei luoghi espositivi della Cappella Palatinae e della chiesa di Santa Maria, in modo da rendere ancora più attraente il già suggestivo paesaggio di Velia”. In considerazione dei risultati importanti delle ricerche saranno programmate dal Parco nuove indagini per ricostruire la storia della colonia greca.


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Il ritrovamento monumento religioso millenario testimonia l’esistenza di un importante centro di culto e pellegrinaggio…


Università Ca' Foscari Venezia27 gennaio 

Gli archeologi hanno trovato uno dei più antichi templi buddisti conosciuti nella città di Barikot, nella regione dello Swat in Pakistan, lungo un antico asse viario. Gli scavi della missione 2021, condotti nell’ambito di una missione italiana in collaborazione con l’Associazione Internazionale per gli Studi Mediterranei e Orientali (ISMEO), hanno portato alla luce un Tempio Shahi dedicato a Vishnu, che misura 21 per 14 metri. In attesa delle datazioni al carbonio-14, le indagini indicano che fu costruito sopra un antico edificio di culto preesistente, databile intorno al 700 a.C. e demolito al tempo della dinastia Ghaznavid, dopo l'anno 1000 d.C.. Secondo il professor Luca Maria Olivieri dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento di Studi Asiatici e Nordafricani), “a quel tempo, Swat era già una terra sacra per il buddismo”.

Oltre all’antica acropoli, gli archeologi hanno scoperto una piccola necropoli, che è stata esplorata in collaborazione con Massimo Vidale dell’Università di Padova. Il tempio scoperto nel 2021 e altri due santuari buddisti scoperti negli ultimi anni si trovano ai lati dell’antica strada, una “via dei templi” lungo la via principale che collegava la periferia della città con l’acropoli. L’antico tempio buddista, alto fino a tre metri, fu costruito su un podio absidale su cui si erge una struttura cilindrica che ospita un piccolo stupa. Sulla facciata del tempio si trova uno stupa minore e il podio di un pilastro o colonna monumentale, oltre ad una serie di stanze del vestibolo che un tempo conducevano ad un ingresso che si apriva su un cortile pubblico. Sulla scalinata che conduce alla cella un’iscrizione dedicatoria in Kharosthi. L’altra metà del gradino è stata ritrovata capovolta, riutilizzata come solaio nella fase successiva del monumento. 

Barikot fu abitata ininterrottamente dalla Protostoria (1700 a.C.) fino al Medioevo (XVI secolo d.C.) e conserva oltre 10 metri di stratigrafia archeologica. La parte del tempio in superficie risale all’incirca alla seconda metà del II secolo a.C., ma potrebbe essere anche più antico, del periodo Maurya, III secolo a.C.. Gli scavi hanno anche rivelato che il monumento è stato costruito sui resti di una struttura precedente affiancata da un piccolo stupa arcaico che precede il periodo indo-greco. Questa scoperta getta nuova luce sulle forme dell'antico buddismo e sulla sua diffusione nell'antico Gandhara, aggiungendo un tassello al puzzle di ciò che sappiamo dell’antica città. Lo scavo è stato condotto da Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt) vicedirettore della Missione, e Michele Minardi (Università LOrientale di Napoli). La prima missione archeologica italiana in Asia fu avviata da Giuseppe Tucci nel 1955 ed è attualmente guidata dal professor Olivieri, con il cofinanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dalla Direzione Archeologia, del Musei KP Province (DOAM KP) e del Museo Swat.


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Mentre ruotava nel cosmo, l'oggetto "spettrale" ha emesso un raggio di radiazioni ogni 20 secondi, rilasciando una gigantesca esplosione di energia tre volte in un'ora...


a cura della redazione, 26 gennaio

Ne avrete sentito parlare in questi giorni, anche i TG in Italia ne hanno dato notizia. Ma quello che non hanno detto è che il misterioso oggetto incredibilmente luminoso e più piccolo del Sole, scoperto a 4.000 anni luce dalla Terra dall'International Center for Radio Astronomy Research (ICRAR) in Australia, emetteva onde radio altamente polarizzate. Avete capito bene: onde radio dalla Via Lattea. Ed è sempre da quelle parti, si fa per dire, che nei giorni scorsi gli scienziati hanno individuato strutture che pulsano, i cui filamenti sono distanziati in modo uniforme come le corde di un’arpa. 

Certo potrebbe essere una magnetar, una stella di neutroni che ruota lentamente di cui si prevedeva l'esistenza solo teoricamente. Oppure potrebbe essere qualcosa di completamente nuovo per la scienza. Mentre ruotava nel cosmo, l'oggetto "spettrale" ha emesso un raggio di radiazioni ogni 20 secondi, rilasciando una gigantesca esplosione di energia tre volte in un'ora. Gli oggetti che si accendono e si spengono nell'Universo non sono nuovi per gli astronomi, li chiamano "transitori". I "transitori lenti", come le supernove, possono apparire nel corso di pochi giorni e scomparire dopo alcuni mesi. I 'transitori veloci', come le pulsar, si accendono e si spengono in millisecondi o secondi. Il fenomeno registrato nella Via Lattea la scorsa settimana, però, si è acceso per un intero minuto. 

Poi "puff!!!", si è spento come se stesse convertendo l'energia magnetica in onde radio in modo molto più efficace di qualsiasi altra cosa che gli scienziati abbiano visto prima. Perché tutte queste emissioni luminose e sonore registrate improvvisamente dai nostri radiotelescopi? Nel 2006 il radiometro assoluto per la cosmologia, l'astrofisica e l'emissione diffusa (ARCADE) , che la NASA ha costruito per estendere lo studio dello spettro di fondo delle microonde cosmiche a frequenze più basse, registrò un misterioso ruggito dallo spazio lontano. 

E' noto dalla fine degli anni '60 che l'emissione radio combinata di galassie lontane dovrebbe formare uno sfondo radio diffuso proveniente da tutte le direzioni. Ma il ruggito spaziale aveva una frequenza in surplus rispetto al segnale atteso, come se ci fossero sei galassie in più nell'universo lontano, emettendo onde radio che si estendevano ben oltre il disco galattico necessario. Il che richiederebbe un ripensamento completo dei nostri modelli del campo magnetico così come ipotizzato sino ad ora e ci dice anche che qualcosa sta accadendo lassù, dove tutto ebbe inizio...


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Gli scenziati scoprono enigmatiche linee al centro della Via Lattea, a 25.000 anni luce dalla Terra. Oltre a emettere raggi luminosi sembrano essere tarate su precise frequenze radio...


a cura della redazione, 26 gennaio 

Una nuova immagine scattata utilizzando il radiotelescopio MeerKAT in Sud Africa, rivela dettagli incredibili su misteriose “strutture che pulsano” nel cuore della nostra galassia: quasi 1.000 filamenti magnetici, che misurano fino a 150 anni luce di lunghezza, in disposizioni sorprendentemente ordinate e regolari, distribuiti in gruppi all’interno dei quali “i filamenti sono distanziati in modo uniforme, come le corde di un’arpa”. 

LO SAPEVI CHE - Nel 2019, un team internazionale di astronomi ha scoperto una delle strutture più grandi mai osservate nella Via Lattea. Una coppia di bolle che emettono radio raggiungono l'altezza di centinaia di anni luce, facendo impallidire tutte le altre strutture nella regione centrale della galassia.

Secondo l'astrofisico Farhad Yusef-Zadeh della Northwestern University, che li ha scoperti, “assomigliano quasi alla spaziatura regolare nei circuiti solari”. Yusef-Zadeh e i suoi colleghi avevano da tempo individuato una coppia di gigantesche bolle radio-emittenti. Le immagini, allora suggerivano la presenza di una forza magnetica e la presenza d alcuni filamenti. Nell’ultimo articolo, del 26 gennaio 2022, vengono esplorati in modo specifico i campi magnetici dei nuovi filamenti fotografati, 10 volte di più di quelli individuati 3 anni fa, e il ruolo dei raggi cosmici nell’illuminarli. I ricercatori ritengono che la stretta associazione dei filamenti con le bolle implichi che l’evento energetico che ha creato le radio-bolle sia anche responsabile dell’accelerazione degli elettroni necessari per produrre l’emissione radio dai filamenti magnetizzati.

Se la loro variazione nella radiazione sembra essere correlata all’attività del super-massiccio buco nero centrale della Via Lattea, le vibrazioni dei filamenti potrebbero essere innescate dall’attività magnetica delle bolle, che emette radiazioni sia nelle lunghezze d’onda radio che nei raggi X. La notizia più sorprendente è che i campi magnetici presenti risultano essere amplificati lungo i filamenti. L’ipotesi degli scienziati è che vi siano alcune fonti ricettive alla fine di questi filamenti, sollecitate dalla coppia magnetica. Le due radio-bolle ne accelererebbero le particelle proprio come le dita che “pizziacano” uno strumento a corde. Quali suoni emetteranno?


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I residenti della città di Guryevsk, nella regione di Kemerovo, hanno catturato un insolito tramonto. Sullo sfondo del cielo della città, nella Russia siberiana meridionale, era chiaramente visibile un segno apocalittico fiammeggiante...


a cura della redazione, 19 gennaio

I residenti della città di Guryevsk, nella regione di Kemerovo, hanno catturato un insolito tramonto. Sullo sfondo del cielo della città, nella Russia siberiana meridionale, era chiaramente visibile una croce infuocata. Lo riporta Россия 24 il canale della VGTRK (azienda radiotelevisiva di stato della Russia) nel notiziario del 18 gennaio. 

I meteorologi hanno spiegato che, nonostante il misticismo dell’immagine, esisterebbe una spiegazione per il fenomeno. Sarebbe stato causato da un brusco cambiamento del tempo, iniziato martedì, quando da temperature da positive, sopra lo zero di + 4 gradi, hanno iniziato a scendere drasticamente. 

“Questo, presumibilmente, è un alone dovuto alla rifrazione della luce solare a causa della forma complessa dei cristalli di ghiaccio”, ha spiegato il Centro Idrometeorologico della città. In realtà l'insolito fenomeno sarebbe stato filmato con la fotocamera di un cellulare a Karaganda in Kazakistan anche il 27 dicembre scorso, a circa 1.000 chilometri di distanza. 

Che l'emittente siberiana abbia dato una notizia sbagliata è possibile, trattandosi di un filmato amatoriale, magari la fonte non era stata poi così precisa... ma se così fosse non avrebbe nulla a che vedere con la spiegazione dello sbalzo di temperature data dai meteorologi. Possibile che una croce fiammeggiante sia apparsa due volte a solo un mese di distanza? L'insolito fenomeno era, infatti, già stato riportato a fine 2021 dai sacerdoti di Karaganda nel loro gruppo VKontakte. L'eccezionalità del segno apparso nel cielo, dati i tempi, resta comunque un mistero...


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Una strana placca di metallo, a forma di "occhio alato" è stata impiantata nella testa dolicocefalica di un antico guerriero peruviano quando era ancora in vita…


Dauly Star, 16 gennaio

Il teschio allungato di un uomo che visse duemila anni fa in Perù, conservato oggi al Museo di Osteologia dell'Oklahoma, sta suscitando molto scalpore. Dopo essere stato ferito alla testa durante una battaglia, sembra sia stato sottoposto a un intervento chirurgico al cranio. Per sigillare il foro nella testa fu utilizzato uno strano metallo. L’operazione sembra sia stata praticata con successo facendo sopravvivere l’uomo. Il rimodellamento osseo della calotta cranica dimostrerebbe, infatti, che ha superato l’intervento. Il che lo rende uno straordinario esempio di chirurgia avanzata precoce. Non è ancora chiaro quale tipo di metallo sia stato utilizzato, in quanto non è stata condotta ancora alcuna analisi per determinarne l’effettiva composizione. In attesa dei risultati, ciò che rende tutto ciò ancora più sorprendente è che questa incredibile operazione chirurgica al cranio sarebbe avvenuta senza alcuna anestesia o altre moderne tecniche mediche, che all’epoca non esistevano. A infittire il mistero, la placca di metallo utilizzata ha una strana forma, che ricorda l'occhio di Horus.

La pratica di fori al cranio è certamente una procedura chirurgica tra le più antiche al mondo, ma non un intervento di ricostruzione ossea attraverso l’ausilio dei metalli. Esempi di trapanazione si hanno già nel periodo neolitico e i paleontologi hanno collezionato teschi perforati di tutte le epoche, provenienti da tutto il mondo: Europa, antica Grecia, Mesopotamia, Cina, Russia e soprattutto dall’Impero Inca. La procedura raggiunse il suo apice in Perù tra il XIV e il XVI secolo d.C.. Gli obiettivi di una simile pratica nel corso della storia sono stati diversi: dal permettere al sangue di defluire dal cranio dopo una lesione, come descritto da Ippocrate, al suo uso in Europa come trattamento per l’epilessia e le malattie mentali. Alcuni hanno persino suggerito che la trapanazione del cranio fosse eseguita per scopi rituali. 

Il fatto che il cranio del guerriero peruviano fosse allungato, potrebbe essere un altro enigma da risolvere. È pur vero che in passato la dolicocefalia, come si chiama in gergo tecnico, era una pratica diffusa. Nel corso della storia, molte culture hanno deformato artificialmente i crani dei bambini per ottenere una forma appiattita o allungata che era spesso associata alle classi dirigenti o d'élite. Prove di questo tipo di deformazione cranica artificiale sono state scoperte nelle Americhe, in Australia, in Medio Oriente e in Russia. E proprio per questo i ricercatori accademici sono generalmente scettici su ipotesi alternative di una razza sconosciuta, per non dire "aliena". 

Li vedono come semplici teschi umani deformati artificialmente, il risultato di una fasciatura della testa per ottenere una forma appiattita. La modellatura deliberata della testa era, infatti, una forma di modifica culturale del corpo, che serviva per affermate la propria identità o un rito iniziatico. Per alcuni scienziati il più delle volte si tratterebbe, addirittura, di semplice idrocefalia. Chi studia l’evidenza di anomalie nei crani, però, non si accontenta di credere nel dogma della modificazione cranica. Persone come Brien Foerster, Lloyd Pye, Graham Hancock, per non dimenticare  Michael Cremo. vanno oltre le prospettive convenzionali esaminando e registrando le prove, piuttosto che assumere come definitive le conclusioni raggiunte da ricercatori precedenti. 

Sebbene fornisca prove di un intervento chirurgico al cranio precoce, quello del Museo di Osteologia non è il più antico esempio al mondo. Ci sono prove più antiche, come il teschio rinvenuto nel Sudan, che risale a 7.000 anni fa. Un mistero ancora tutto da svelare..


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Misterioso tumulo regale nel nord della Tuva. Gli archeologi scoprono i resti di una donna ornata con un raro pettorale d’oro a forma di mezzaluna...


Nauka W Polsce, 14 gennaio

Nel nord della Tuva, una repubblica autonoma nella parte asiatica della Federazione Russa, si estende quella che gli archeologi chiamano la “Valle dei Re siberiana” per le numerose, enormi tombe a tumulo, con ricchi arredi, risalenti a oltre 2.500 anni fa. Qui una spedizione russo-polacca, guidata dal dottor Łukasz Oleszczak dell’Università Jagellonica di Cracovia, ha scoperto i resti di una donna ornata con un raro pettorale d’oro a forma di mezzaluna. Il tumulo dove è stato rinvenuto il corpo si trova a Chinge-Tey, nella valle Turano-Ujukska. Il suo corredo funerario comprendeva anche orecchini d’oro, un coltello di ferro e un pettine di legno inciso collegato da un anello di cuoio a uno specchio di bronzo. 

Si pensa che la sepoltura risalga al VI secolo a.C., quando la valle fu occupata dalla cultura nomade degli Sciti Alda-Bielsko. Allora, la valle del Turano-Ujuk era uno dei centri rituali più importanti dell’intero mondo scita-siberiano. È da qui, dalle montagne della Siberia meridionale, che proviene questo misterioso popolo che dominò le steppe dell’Europa orientale. Molto di quello che sappiamo di questa gente dagli occhi cerulei e dai capelli color fuoco ce lo ha tramandato Erodoto. Insediatisi lungo la costa settentrionale del Mar Nero, gli Sciti vengono descritti come abili domatori di cavalli e arcieri formidabili, legati a inquietanti tradizioni, come bere il sangue del proprio avversario abbattuto in battaglia.

LO SAPEVI CHE: Tamara Rice, in “Gli Sciti” (Il Saggiatore, 1958) afferma che presso questo popolo fosse diffuso il culto della Grande Dea, già adorata nella Russia meridionale prima del loro avvento, raffigurata in numerosi reperti rinvenuti nei corredi funebri talvolta con il corpo metà umano e metà di serpente, spesso circondata dai suoi animali sacri, il cane e il corvo. Con uno scettro o uno stendardo, figurava quale protettrice del capotribù e nume tutelare dei giuramenti, oppure al centro di un rituale di iniziazione. È stato ipotizzato che le principesse e le spose dei sovrani sciti fossero inoltre le sacerdotesse della Grande Dea e che, in occasione dei riti, indossassero abiti particolari, gli stessi che le avrebbero accompagnate nell’oltretomba.

Erodoto attesta una straordinaria fascinazione negli Sciti per l’oro, metallo di valenza magica e fondamento del potere, in quanto ponte tra l’umano e il divino. Per questo popolo il re era il custode dell’oro sacro. Un altro elemento fondamentale della vita di questi nomadi era il cavallo: compagno in vita e nell’oltretomba. Dal suo latte ricavavano una bevanda particolare: il kumys. C'è chi sostiene appartenessero a un gruppo indoeuropeo di ceppo iranico e chi invece ne identifica le origini nei popoli ugro-altaici. Alcuni ricercatori ritengono, infatti, che discendessero dalla cultura Srubnaya, la così detta civiltà delle tombe di legno, vissuta durante l'età del bronzo tra il Volga e il nord del Mar Nero; altri invece pensano che gli Sciti provenissero dall'Asia centrale o addirittura dalla Siberia e che poi, nel corso delle loro migrazioni, abbiano finito per fondersi con le popolazioni preesistenti nella zona.

Il tumulo, danneggiato al punto da essere quasi livellato, è stato rilevato solo grazie alla scansione laser aerea, che ha individuato la struttura circolare di oltre 25 metri di diametro. Scavando gli archeologi hanno scoperto al suo centro una camera funeraria in legno. Era stata costruita su una struttura di assi di legno a incastro, sormontata da tre strati di travi per formare una volta. 

All’interno c’erano gli scheletri della donna, di circa 50 anni, e di un bambino di due o tre anni. Gli studiosi stanno ancora analizzando gli ornamenti organici rinvenuti in situ, che ricordano le usanze scite di indossare strumenti e vesti fatti gli scalpi dei loro nemici, in particolare scettri rivestiti con spirali di pelle umana a forma di serpente. “Un monumento particolarmente interessante, come il pettorale d'oro, un ornamento a forma di mezzaluna o lunare appeso al collo” - osserva Oleszczakel nel comunicato stampa, sottolineando che tali oggetti, presenti nei tumuli funerari nella Siberia meridionale, sono stati trovati, finora, quasi esclusivamente in tombe di uomini e sono considerati un simbolo di appartenenza a qualche gruppo sociale, una casta, forse sacerdotale. “Metterlo nella tomba di una donna è un allontanamento molto interessante da questa usanza. Dimostra certamente il ruolo unico della defunta nella comunità degli abitanti della Valle dei Re”, spiega l’archeologo. 

La donna è stata sepolta nella parte centrale della tomba situata nelle immediate vicinanze di un altro grande tumulo appartenente – come ritengono gli studiosi – al principe dei nomadi. Nel 2021, gli archeologi polacchi hanno continuato le loro ricerche, i cui scavi erano iniziati due anni prima. Poi trovarono due sepolture: quella centrale, derubata, e quella laterale, che era intatta e conteneva il corpo di un giovane guerriero. Si tratta di una delle 10 tombe poste in fila sull’asse nord-sud nella parte occidentale della necropoli. Durante l’ultima stagione di scavi è stata scoperta anche una seconda tomba, che si trova all’esterno della trincea che circonda il tumulo. Era lo scheletro di un adolescente, posto in una piccola fossa con una staccionata di pietra. Era stato spogliato di qualsiasi attrezzatura. 

Le sepolture di bambini attorno al perimetro dei tumuli o appena fuori dal fossato che circonda la tomba sono un elemento permanente del rito funebre di questa prima cultura scitadice Oleszczak. Gli archeologi hanno trovato prove che attorno al perimetro del tumulo era stato depositato un tesoro di oggetti in bronzo, andato disperso a causa dei lavori agricoli effettuati nella zona durante il XX secolo. Ciò è dimostrato dal ritrovamento di diverse dozzine di parti di una fila di cavalli, un'ascia di bronzo, probabilmente utilizzata per gli scalpi che questo popolo era solito fare dei propri nemici, e un ornamento a forma di capra, emblema della loro cultura zoomorfa. La loro rilevazione è stata possibile grazie all’utilizzo di un metal detector. Gli scavi, ancora in corso, sono stati condotti in collaborazione con gli scienziati del Museo statale dell'Ermitage di San Pietroburgo, sotto la direzione di Konstantin V. Chugunov, grazie ai fondi del National Science Center.


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Una missione tedesco-egiziana ha portato alla luce una collezione di enormi pezzi di calcare appartenenti a una coppia di sfingi reali, nonché i resti di pareti e colonne decorate con scene festive e rituali a Luxor...


Ahram Online, 13 gennaio 

Una coppia di sfingi calcaree e pezzi di pareti e colonne decorate con scene festive e rituali, sono stati portati alla luce nel tempio di Amenhotep III di Luxor da un team di ricercatori tedesco-egiziani guidati dall'archeologo Hourig Sourouzian. Mostafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità ha detto che le colossali sfingi, che misuravano circa 8 metri di lunghezza, sono state trovate semi sommerse nell’acqua, sul retro dell’ingresso del terzo pilone, poste presumibilmente all’inizio del percorso processionale che porta alla Corte del Peristilio. Le loro teste raffigurano Amenhotep III che indossa il copricapo a strisce di nemes, la barba reale e un ampio colletto intorno al collo. 

La pulizia del calcare ha rivelato l’iscrizione “l’amato di Amon-Ra" su uno dei pettorali. Le basi delle colonne e i blocchi di fondazione trovati nella parte meridionale della sala ipostila del tempio indicano che la struttura era più grande e aveva più colonne di quanto si pensasse in precedenza, mentre le decorazioni murali in arenaria mostrano immagini della festa giubilare di Heb-sed di Amenhotep III. Basi di colonne e blocchi di fondazione nella metà meridionale della sala ipostila mostrano che questa sala era molto più grande di quanto si pensasse e con più colonne. La missione ha anche scoperto tre busti e tre parti inferiori di statue della dea leonessa Sekhmet in granodiorite sulla facciata della Corte Peristilio e nella Sala ipostila del tempio. Questi pezzi verranno riassemblati con altri trovati in precedenza nel sito e saranno esposti nel tempio.


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Il più grande 'drago marino' della Gran Bretagna emerso nella contea più piccola del Regno Unito...


BBC, 11 gennaio 

I resti fossili del più grande ittiosauro della Gran Bretagna, colloquialmente noto come "Drago del mare", sono stati scoperti nella Rutland Water Nature Reserve che il Leicestershire e il Rutland Wildlife Trust gestiscono in collaborazione con Anglian Water. È lo scheletro più grande e completo del suo genere trovato fino ad oggi nel Regno Unito e si pensa anche sia il primo ittiosauro della sua specie (chiamato Temnodontosaurus trigonodon) trovato nel paese. 

L'ittiosauro è stato scoperto da Joe Davis, team leader del Rutland Water Conservation, durante il prosciugamento di un'isola lagunare nel febbraio 2021. I resti sono stati estratti da un team di esperti provenienti da tutto il Regno Unito tra agosto e settembre. Gli studiosi da queste parti sono abituati a veder emergere qualche resto di ittiosauro dalle coste dello Yorkshire o sulla riva giurassica del Dorset. Rutland, però, si trova a quasi 50 chilometri dal mare. Il che dimostrerebbe che 200 milioni di anni fa il livello dell'acqua era molto più alto e quindi copriva anche questa zona.

Gli ittiosauri, scoperti per la prima volta dalla cacciatrice di fossili e paleontologa Mary Anning all'inizio del XIX secolo, erano rettili marini apparsi sulla Terra circa 250 milioni di anni fa, che si estinsero 90 milioni di anni fa. Variavano in dimensioni da 1 a più di 25 metri di lunghezza e assomigliavano ai delfini nella loro forma generale del corpo.

L’esemplare scoperto nelle Midlands è stato descritto come uno dei più grandi ritrovamenti nella storia della paleontologia britannica. Si tratta del primo scheletro completo di un rettile marino della preistoria associato al Drago di San Giorgio, per via dei lunghi denti e degli occhi particolarmente grandi. Il fossile, che ha circa 180 milioni di anni, è lungo circa 10 metri e solo il teschio ha un peso di circa una tonnellata.


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Un team di archeologi ha identificato una serie di strutture rituali in precedenza sconosciute nel Parco Nazionale di Machu Picchu, in Perù


Journal of Archaeological Science, gennaio 2022

Un team di archeologi dell'Università di Varsavia ha identificato una serie di strutture in precedenza sconosciute nel Parco Nazionale di Machu Picchu, in Perù. Una scoperta resa possibile dall’uso di droni, sopra la volta della foresta, dotati di Light Detection and Ranging (LiDAR), una tecnologia che permette di ricreare una rappresentazione digitale 3D delle strutture anticamente edificate dall’uomo, nascoste sotto la vegetazione, grazie alla variazione dei tempi di riverbero delle lunghezze d'onda del laser. Lo studio, pubblicato sul numero di gennnaio 2022 del “Journal of Archaeological Science”, si è concentrato sul complesso Inca di Chachabamba, un centro cerimoniale associato all'acqua che comprende diversi santuari e bagni legati a tale elemento animico. Analizzando i dati LiDAR, sono emerse 12 piccole strutture erette su pianta circolare e rettangolare alla periferia del complesso. Secondo Dominika Sieczkowska del Centro di ricerca andina dell'Università di Varsavia, ci sono indicazioni che siano state principalmente le donne a prendersi cura del complesso, come suggerito da oggetti scoperti durante precedenti scavi dal team polacco-peruviano. Gli studi effettuati hanno anche rilevato canali precedentemente sconosciuti che fornivano a Chachabamba l'acqua del vicino fiume Urubamba attraverso un sistema di blocchi di pietra parzialmente sotterranei.


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Alcune tombe storiche e diversi manufatti, tra cui un antico anello d'argento, sul quale è incastonata una pietra di agata rossa dove è incisa la figura del dio Hermes e che si pensa risalga al IV secolo, sono stati portati alla luce nella provincia settentrionale di Ordu, in Turchia..


Yeni Safak ,24 dicembre

Alcune tombe storiche e diversi manufatti, tra cui un antico anello d'argento, sul quale è incastonata una pietra di agata rossa dove è incisa la figura del dio Hermes e che si pensa risalga al IV secolo, sono stati portati alla luce nella provincia settentrionale di Ordu, in Turchia. Le tombe sono state scoperte durante i lavori per l'espansione di una carreggiata nel distretto di Kurtuluş, sulla costa turca del Mar Nero. Nelle tombe sono stati trovati molti resti umani e animali, insieme a gioielli in oro, pietra, argento, vetro e bronzo. Tra le numerose scoperte archeologiche annunciate a dicembre 2021 in Turchia, ricordiamo le più significative: un laboratorio di tessitura di epoca romana trovato a Perre, 15 statue neo-ittite rinvenute a Yesemek e una statua in marmo di Eracle rinvenuta ad Aizanoi. Inoltre, è stata annunciata la fine dei lavori di restauro del Palazzo Topkapı mentre l'ex bastione Hıdırlık nella periferia occidentale di Edirne è stato inaugurato come Museo di storia balcanica di Edirne.


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