Si tratta di un portantino di lettiera reale in perfetto stato di conservazione, che indossa un cappuccio con taglio trapezoidale e bande verticali di colori chiari e scuri alternati. I suoi ornamenti e la postura attestano la valenza cerimoniale del luogo sacro ai Chimù...


a cura della redazione 29 giugno

Chan Chan, la più grande città di mattoni adobe d'America, continua a far luce sulla sua grandezza. Ne è prova il recente ritrovamento di una scultura in legno dalle caratteristiche eccezionali, scoperta durante i lavori di scavo per la terza fase del progetto di recupero del complesso archeologico. Secondo i ricercatori del Chan Chan Archaeological Complex Special Project (PECACH), il ritrovamento di questa scultura in legno, lunga 47 centimetri per 16 di larghezza, documentata in un contesto secondario, allude a un personaggio che appare come cargador de andas, o portantino di lettiera reale, probabilmente di un sovrano della cultura Chimú. Siamo alla periferia di Trujillo, nel Perù nord-occidentale. 

Il pezzo è stato portato alla luce durante i lavori di conservazione della Huaca Takaynamo, una struttura piramidale a nord dell'antico complesso. La scultura non è stata ancora datata, ma lo stile indica che appartiene al primo periodo Chimú, tra gli 850 e i 1.470 anni fa, il che la rende una delle più antiche trovate nel sito. Nonostante l'età avanzata, si presenta in ottime condizioni, completo della sua vernice brillante originale. 

Rappresenta una figura maschile con le braccia piegate e le gambe dritte. In perfetto stato di conservazione, porta un cappuccio con un taglio trapezoidale nella parte superiore. Ha come decoro sette bande verticali di colori chiari e scuri alternati, con una fascia orizzontale scura sulla fronte. La gonna che indossa ha al centro un triangolo scuro e il bordo è decorato con fasce rettangolari simili a quelle del cappuccio. Il viso è di forma ovale e piatto, ad eccezione di una vera e propria meridiana del naso che si protende verso l'alto. È dipinto di rosso. Gli occhi sono a mandorla, riempiti con una resina nera originariamente utilizzata come adesivo per intarsi in madreperla che ora sono andati perduti. Le orecchie, ovoidali e scavate, hanno uno strato della stessa resina nera. 

Il braccio sinistro, vicino al corpo, si piega a destra di 90 gradi rispetto al gomito, con la mano tesa davanti al busto. Anche il braccio destro si piega verso l'alto, aderendo al corpo in modo che la mano sia all'altezza delle spalle. Torso, braccia e mani erano dipinti di rosso. Sul petto si osservano macchie circolari scure. Il personaggio indossa una gonna dal taglio triangolare, il bordo è decorato con piccole fasce rettangolari, simili a quelle del copricapo. Il centro è uno spazio triangolare di colorazione scura. Le gambe sono dritte e i piedi leggermente divaricati; la parte anteriore di essi è stata parzialmente mozzata. Accanto alla scultura, gli archeologi hanno scoperto semi di nectandra, noti per essere stati usati per scopi rituali nel Perù pre-ispanico. Erano infilati su un filo da indossare come collana. Sotto la figura c'era una piccola borsa nera cucita con filo decorativo marrone e bianco.

Gli intagli o le sculture in legno di Chimú sono sia fissi sia mobili. I primi sono documentati all'ingresso di alcuni complessi murari di Chan Chan, da un segmento non scolpito che, una volta interrato, fissa la porzione scolpita dell'elemento al suolo. La scultura mobile manca di un tale elemento, come altri esemplari documentati in alcune huacas. L'Huaca Takaynamo si trova a nord del complesso principale di Chan Chan. È in corso lo scavo nell'ambito di un più ampio progetto di conservazione e studio per saperne di più sugli edifici periferici della città antica e su come conservarli per un'eventuale esposizione. Per César Gálvez Mora, direttore del Progetto Speciale del Complesso Archeologico di Chan Chan, non vi è dubbio: "La scultura del portatore di lettiera è la prova chiave che la huaca aveva una funzione cerimoniale".


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a cura della redazione, 29 giugno

La ricerca archeoacustica è focalizzata sul dare vita ai suoni prodotti da persone nel lontano passato. Nessuna registrazione uditiva resta e gli strumenti o non esistono più o sono estremamente rari. Un'eccezione sono le rocce suonanti, note come “litofoni”, che suonano quando vengono colpite. Uno studio, svolto su  una pittura rupestre delle montagne Cederberg, nella provincia del Capo Occidentale del Sud Africa, risalente ad almeno 2000 anni fa. 

Le figure umane in questo dipinto sono state interpretate come guaritori che impugnano fruste e che eseguono una trance-dance. Le fruste da mosca erano un accessorio importante per la danza. Ma i risultati suggeriscono che quelle fruste per mosche sono in realtà strumenti musicali di un tipo noto come "!Goin !Goin" , un nome che esiste solo nell'ormai estinta lingua Xam parlata dai cacciatori-raccoglitori nell'Africa centro-meridionale. 

Il "!Goin !Goin" è un aerofono: questi strumenti producono suoni creando vibrazioni nell'aria quando vengono fatti ruotare attorno ai loro assi. Per raggiungere questa conclusione gli studiosi hanno combinato le tecniche di recupero delle immagini digitali con strumenti creati da modelli a grandezza naturale. Gli otto strumenti sono stati suonati in uno studio sonoro di Città del Capo e i suoni sono stati registrati. 

Il suono prodotto dagli strumenti ricreati corrisponde in modo convincente allo spettro sonoro (90 – 150 Hz) prodotto da un modello simile del XIX secolo dell'aerofono !Goin !Goin , che è archiviato nella Kirby Collection of Musical Instruments, curata dal Collegio della Musica dell'Università di Città del Capo. Si tratta di un suono ronzante come quello di uno sciame di api. Difatti i cacciatori-raccoglitori di lingua Xam associavano il suono del !Goin !Goin alle api mellifere. 

Sono arrivati persino a dire che con il !Goin !Goin potevano "spostare le api”. Il dipinto di Cederberg è uno dei soli quattro esempi conosciuti associabili all'aerofono nella regione dell'Africa meridionale. Altri dipinti sono stati al momento interpretati come illustrazioni di fruste. I risultati suggeriscono la necessità di maggiori approfondimenti nello studio delle pitture rupestri, in quanto, alcune delle raffigurazioni della frusta volante potrebbero essere rivisitate in chiave musicale. Il che rende la trance dance degli individui rappresentati ancora più credibile. È noto che tutti i sensi, non solo la vista, presentino allucinazioni in stato di trance e che l'allucinazione uditiva più frequente, quella del ronzio, è interpretata come il suono delle api, del vento impetuoso o dell'acqua che cade.


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I grani sacri, raggruppati attorno al collo di uno degli scheletri più antichi rinvenuti in questo luogo, furono ricavati dalle vertebre di un salmone...


a cura della redazione 27 giugno

Il primo esempio in assoluto di rosari della Gran Bretagna medievale è stato scoperto sull'isola di Lindisfarne, conosciuta anche come Holy Island, al largo della costa del Northumberland. I grani sacri, raggruppati attorno al collo di uno degli scheletri più antichi rinvenuti in questo luogo, forse uno dei monaci sepolti all'interno del famoso monastero altomedievale, risalgono a un periodo tra l'VIII e il IX secolo d.C.. Un dato rilevante, per l'importante valenza simbolica del pesce in seno al primo cristianesimo (ΙΧΘΥΣ - Ichthys è l'acronimo usato dai primi cristiani per indicare il Cristo), è che il rosario sia stato ricavato dalle vertebre di un salmone, simbolo del sacrificio e del guerriero spirituale che, con coraggio, percorre indomito il suo cammino per giungere alla sorgente della consapevolezza. 

LO SAPEVI CHE - Un pesce che in natura sfida le correnti avverse, e in quanto tale è associato alla direzione: invita a ponderare le proprie scelte, a capire se si è intrapresa la giusta strada o no, sprona ad un atteggiamento proattivo e a perseverare nel momento in cui si compie una scelta importante.  Aiuta dnque a comprendere lo scopo della propria esistenza e a realizzarlo con fermezza.  Secondo un’antica leggenda celtica, cinque salmoni hanno dimorato nel Pozzo di Connla, sopravvivendo grazie al nutrimento ricavato dai nove noccioli della saggezza, caduti dagli alberi che circondavano la fontana. In questo modo, ogni Salmone ha acquisito tutto il sapere universale divenendo, per i Celti, simbolo di sapienza e di conoscenza. Ancora oggi, i gallesi e gli irlandesi considerano i salmoni come gli spiriti guardiani di tutti i corsi d’acqua, in grado di lottare contro ogni ostacolo.

Da notare che questo è anche l' unico artefatto trovato all'interno di una tomba qui Lindisfarne, quindi è un oggetto molto significativo. Nel 1997, nella vicina cappella medievale di Chevington, sono state trovate vertebre di pesce con modifiche simili. Ma provenivano dal merluzzo dell'Atlantico, e quella sepoltura risaliva al XIII o XIV secolo, mentre questo è molto precedente.

LO SAPEVI CHE - Lindisfarne è una piccola isola visibile dal castello di Bamburgh, appena al largo della costa del Northumberland. Un luogo che si può raggiungere solo con la bassa marea, dove le persone vengono a godersi lunghe passeggiate sulle desolate spiagge di sabbia bianca. Ma un tempo era il cuore pulsante del regno altomedievale di Northumbria, con un famoso monastero che si trovava proprio al centro di un'ampia rete di rotte marittime che attraversavano il Mare del Nord e si estendevano fino al cuore dell'Europa.

Lindisfarne non è un comune sito archeologico, bensì è uno dei più iconici della Gran Bretagna. È qui che i re di Northumbria, nel VII secolo, fondarono un importante centro religioso, dove i monaci crearono i Vangeli di Lindisfarne e dove abili artigiani forgiarono i tesori che adornavano gli altari dell'Europa altomedievale. È anche il luogo in cui i Vichinghi lanciarono una serie di devastanti incursioni nell'VIII, IX e X secolo. Di conseguenza, il monastero altomedievale che un tempo sorgeva qui fu lasciato in rovina: la sua posizione originaria, insieme a molte delle sue storie, andò perduta nel tempo. 

ASCOLTA IL PODCAST DELLA BRITISH LIBRARY (in inglese) - L'Evangeliario di Lindisfarne è un manoscritto miniato nello stile dell'arte insulare e scritto in maiuscole irlandesi. Il monastero di Lindisfarne, dove fu realizzato, era a capo, secondo l'usanza della Chiesa celtica e anglosassone, anche di una diocesi. Il libro venne qui conservato fino all'875, poi spostato in seguito alle incursioni vichinghe, ora è conservato alla British Library di Londra

Fu qui che i monaci crearono i Vangeli di Lindisfarne, il manoscritto più spettacolare sopravvissuto dall'Inghilterra anglosassone. Il dottor David Petts, co-direttore del progetto DigVenntures, istituito per portare alla luce la storia perduta di questo luogo remoto, e specialista in Cristianesimo Primitivo presso l'Università di Durham, sostiene che le vertebre dei pesci sono grani di preghiera per la devozione personale: "Crediamo che queste perline fossero usate come oggetto di fede personale, soprattutto perché la nostra parola moderna bead deriva dall'antico inglese gebed, che significa "preghiera". A parte monaci e re, chi viveva qui? L'area di scavo comprende resti di strutture altomedievali e parte di un cimitero. Finora, le prove recuperate risalgono all'VIII, IX e X secolo, quando Lindisfarne era all'apice della sua fama. Finora gli scavi si sono concentrati sul primo strato all'interno di un cimitero che si trova accanto alle rovine del priorato del XII secolo. 

Durante le indagini archeologiche sono stati trovate rune incise su lapidi e oggetti di uso quotidiano (come il pettine nella foto in basso a sinistra). Tra i reperti oltre a monete e manufatti in rame, anche un raro pezzo da gioco in vetro e strani simboli scolpiti nella pietra. Realizzato in vetro blu brillante, un particolare gioco da tavolo di oltre 1.000 anni fa è impreziosito da un anello di cinque bobine bianche. Proviene probabilmente da un set utilizzato per giocare a una versione unicamente britannica del romano Ludus Latrunculorum, gioco di guerra in voga in Gran Bretagna, Danimarca, Islanda, Irlanda, Norvegia e Svezia prima dell’arrivo degli scacchi nell’XI-XII secolo. Le rune, invece, sono i simboli della più antica scrittura germanica, connessi con la parola «ryna» che vuol dire «sussurrare». Nella cultura nordica esse contengono il segreto stesso dell’esistenza. Tra le più emblematiche quelle incise su «Agata Nera». Il colore di questa pietra evoca il sacrificio del dio Odino e la morte necessaria per acquisire la Sapienza. Cos'altro troveranno? Tale è l'enormità del sito che il team continuerà gli scavi per altri quattro anni alla ricerca di altri preziosi resti del monastero saccheggiato dai Vichinghi.


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a cura della redazione 24 giugno

Gli archeologi dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) hanno scoperto diversi depositi rituali contenenti oltre 2.500 oggetti in legno ai piedi del Templo Mayor nella città azteca di Tenochtitlan, a Città del Messico. Siamo nel cuore di un complesso composto da due templi, cinque piattaforme ed edifici sussidiari della capitale dell'impero azteco preispanico. Il tempio era chiamato "huey teocalli" in lingua nahuatl ed era dedicato contemporaneamente a due divinità: Huitzilopochtli, dio della guerra, e Tlaloc, dio della pioggia e dell'agricoltura. 

I reperti sono costituiti da maschere, copricapi, scettri, pettorali, dardi, figurine, lancia dardi, orecchini, vasi e numerose offerte in legno che i sacerdoti depositarono per consacrare il sito alle divinità azteche. La maggior parte degli oggetti in legno proviene da diverse specie di pino, mentre sono stati identificati anche cedro bianco, cipresso, tepozán e ahuehuete, molti dei quali presentano ancora tracce di colori policromi come pigmento blu, rosso, nero e bianco sulla superficie. Gli scavi dei depositi rituali hanno anche portato alla luce resti botanici come fiori, uccelli, mammiferi e animali marini, oggetti in rame e oro, selce e pezzi di ceramica. Nella foto, di Mirsa Orozco (INAH), uno scettro serpentino e altri oggetti rituali rinvenuti.


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a cura della redazione, 14 giugno

Circa 1.800 anni fa, un convertito al giudaismo di nome Yaakov (Giacobbe) morì e fu sepolto in una grotta a Beit She'arim. Dalla scritta, in greco, dipinta in vernice scarlatta, sappiamo che era un convertito al giudaismo, perché il riferimento completo al defunto è "Yaakov HaGer": Giacobbe il Proselito. Accanto al suo nome un esagono progettato per scoraggiare i ladri di tombe, che sembra essere stato scarabocchiato sulla lastra di calcare nel sangue. 

LO SAPEVI CHE - La necropoli, situata a 62 miglia a nord-ovest di Tel Aviv, comprende una serie di catacombe risalenti al II-IV secolo d.C. I luoghi di sepoltura di Beit She'arim descrivono in dettaglio la sua storia diversificata, con opere d'arte e iscrizioni di artisti greci , aramaici ed ebrei antichi. La grotta principale è stata scoperta dai ricercatori un anno fa. Recentemente sono state scoperte grotte più piccole al suo interno. Gli archeologi considerano la tomba di Yaakov HaGer un ritrovamento significativo, perché è la prima in assoluto che viene identificato in questo sito il sepolcro di un convertito.

Beit She'arim era una città ebraica nella Bassa Galilea durante il periodo romano, sorto alla fine del I secolo d.C.. Dopo la totale distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., la città divenne un centro di cultura ebraica. Qui si trasferì il Consiglio ebraico del Sinedrio. Tra i defunti sepolti nella necropoli della città c'erano saggi ebrei, tra cui il famoso rabbino Judah il Principe, redattore ed editore della Mishnah nel II secolo. Sebbene la necropoli fosse stata studiata in modo piuttosto approfondito, la catacomba in cui era stato sepolto Yaakov HaGer era rimasta sconosciuta fino all'anno scorso, quando fu trovata per caso. Si è scoperto che faceva parte di un complesso di grotte funerarie interconnesse. 

All'interno della camera più interna, i ricercatori hanno scoperto non una, ma due iscrizioni in greco, con vernice rossa che sono state decifrate da Jonathan Price, professore di Storia Antica all'Università di Tel Aviv. La piccola iscrizione dipinta in rosso su una parete calcarea vicino alla loggia funeraria dice semplicemente "Giuda" e si riferisce al proprietario della tomba, ipotizzano i ricercatori.  

Ma è la più grande delle iscrizioni che intriga. Realizzate con un'inquietante pittura rossa, le otto linee su una lastra di pietra lasciata appoggiata all'apertura dell'alcova funeraria dicono: "Giacobbe il Proselito giura di maledire chiunque voglia aprire questa tomba, così nessuno l'aprirà. Aveva 60 anni". L'ultima parte relativa alla sua età sembra essere in una scrittura diversa. I ricercatori pensano che potrebbe essere stata scritta da qualcun altro dopo la sua morte. È difficile sapere da quale culto il defunto Yaakov si fosse convertito e quanto sia stato devoto nella sua nuova fede. In teoria avrebbe potuto essere uno dei primi cristiani, o appartenere a uno dei culti "pagani", come i culti di Iside o Mitra, che prosperarono nel periodo tardo romano. Gerusalemme, infatti, è disseminata di resti delle sepolture dei convertiti al Giudaismo durante il secondo e il terzo secolo.


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a cura della redazione, 13 giugno 

Mentre completava gli scavi sul lato occidentale del museo all'aperto presso l'obelisco del re Senusret I, a Mataria, una missione archeologica congiunta egiziano-tedesca, è riuscita a scoprire nel Tempio del Sole blocchi di pietra granitica dell'epoca del re Cheope, secondo faraone della IV dinastia nella prima metà del periodo dell'Antico Regno (XXVI secolo a.C.), oltre alle fondamenta del cortile di un tempio che risale all'epoca del Nuovo Regno, e una serie di statue e altari. 

La missione stava scavando nell'antica città di Heliopoli, un importante centro religioso. Gli archeologi hanno scoperto grandi blocchi di granito nelle rovine del Tempio del Sole, che rappresentano la prima scoperta del periodo del faraone Cheope nella regione di Ain Shams. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo per l'Archeologia, ha annunciato la scoperta in un comunicato stampa, suggerendo che la pietra potrebbe aver fatto parte di un edificio un tempo situato presso le Piramidi di Giza e successivamente spostato e riproposto tra la XIX e la XX dinastia. Sarebbe stato usato come materiale da costruzione nell'era Ramesside, un periodo in cui erano comuni le pietre di edifici storicamente più antichi. 

Ayman Ashmawy, responsabile della divisione delle Antichità Egizie presso il Consiglio Supremo e capo della missione da parte egiziana, ha aggiunto che sono state rivelare alcune prove dell'esistenza precoce di quest'area, poiché molti strati archeologici risalgono all'epoca della dinastia Zero (periodo Naqada). 

Sono stati recuperati anche diversi strati di macerie ceramiche, che indicano l'attività religiosa e rituale nel III millennio a.C. nel sito, e testimonianze che indicano una grande presenza durante l'epoca della III e IV dinastia, come un pezzo di granito appartenuto al re Pepi I (2280 a.C.). Su di esso c'è un'iscrizione prominente del falco di Horus. È stata anche rivelata la base di una statua del re Amazis, o Ahmose II, parti delle statue a forma di sfingi, che sono considerate prove dell'uso e della presenza reale nel tempio, oltre a tracce di un certo numero di faraoni, tra cui i re Amenemhat II, Senusret III, Amenemhat III, Amenemhat V, Thutmose III, Amenhotep II e III, Horemheb, Ramses II e re Seti II. 

Dietrich Rau, capo della missione da parte tedesca, ha spiegato che la missione è riuscita anche a scoprire parti dei sarcofagi e degli altari dell'era dei re Amenemhat IV, Sobekhotep IV, Ay, Seti I, Osorkon I, Takelot I e Psamtik I, oltre a rivelare un modello scultoreo in quarzo a forma di "Sfinge" del re Amenhotep II, e la base di un'enorme statua di scimmia di granito rosa di un babbuino. 


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a cura della redazione 3 giugno

Una spada vichinga scoperta dai metal detector in Norvegia sta rivelando nuove intuizioni sui viaggi nel Mare del Nord. Sebbene la lama sia mancante, e sia difficile vederne a occhio nudo tutti i particolari, le decorazioni dell'impugnatura hanno dettagli unici in oro e argento, con elementi tipici dello stile vichingo, tra il 550 e il 1050 d.C. L'elsa, che ha estremità progettate con teste di animale, contiene anche figure geometriche in argento, realizzate con la cosiddetta tecnica del niello, utilizzando un impasto metallico per sovrapporre strisce nere nell'argento. La tecnica con cui è stata fabbricata, secondo gli studiosi, è di altissima qualità: la complicata decorazione, la  cesellatura, nonché lo speciale design della guardia crociata, rendono questa scoperta assolutamente unica.

La spada è stata trovata in tre pezzi nell'area di Jatta a Stavanger, rinomata per la tomba della "Regina Gausel" scoperta per la prima volta nel 1883. Considerata tra le più ricche sepolture femminili dell'era vichinga, conteneva fermagli in argento e bronzo, bracciali, un anello, perle, suppellettili, attrezzature e parti di un reliquiario. L'intero manico della spada è decorato con bronzo dorato e argento, il che lo rende molto simile alle spade di tipo D di Jan Petersen. In Norvegia si conoscono circa 15-20 spade di questo tipo esclusivo, su un totale di circa 3000 reperti, e si presume siano state importate dal continente o dalle isole Britanniche. Per quanto ne sappiano gli studiosi, nessun'altra spada di tipo D, né altre spade del periodo vichingo, hanno un simile tipo di testa di animale attaccata all'elsa. 

La prima parte della spada è stata trovata nel 2021. Era una testa di animale finemente decorata in bronzo dorato. Allora non fu possibile dire a quale tipo di oggetto appartenesse. Nella primavera del 2022 sono state ritrovate altre due parti appartenenti allo stesso oggetto. La parte più grande somigliava al pezzo centrale dell'impugnatura di una spada. L'elmo inferiore era decorato allo stesso modo dell'impugnatura e ad ogni estremità della guardia c'era la forma di una testa di animale. Lo stile della decorazione potrebbe indicare che la spada sia stata originariamente realizzata nell'impero dei Franchi o in Inghilterra. Il parallelo più vicino che conosciamo è una spada dell'isola di Eigg in Scozia, che è stata trovata in una tomba del IX secolo d.C. 

Con una simile impugnatura la spada non sarebbe stata molto funzionale, in quanto le decorazioni sarebbero state danneggiate durante la battaglia. A chi apparteneva e che uso se ne faceva? Come spiega l'archeologa ed esperta di epoca vichinga presso il Museo Archeologico, Zanette Glørstad, nel comunicato dell'Università di Stavanger, si pensa fosse il simbolo dello status sociale elevato di un uomo di alto rango: un capo che la utilizzava a scopo cerimoniale.

Esempi di questo tipo di spada sono stati trovati sia nell'Europa orientale che in quella occidentale, ma pochissimi in Norvegia, suggerendo che la spada fosse probabilmente importata. Sebbene sia possibile che fosse una copia realizzata da fabbri locali altamente qualificati, l'arredamento suggerisce che sia stata forgiata e realizzata in Francia o in Inghilterra durante l'800 d.C.. In precedenza è stato suggerito che l'area di Jatta fosse il punto di partenza per estese alleanze e saccheggi. La sepoltura della spada e della regina Gausel ora suggerisce che l'area fosse un importante snodo per i contatti attraverso il Mare del Nord.


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a cura della redazione 1 giugno

La città perduta di 'Zakhiku' è riemersa dopo aver trascorso anni sott'acqua nel bacino idrico di Mosul sul fiume Tigri in Iraq. L'insediamento di 3.400 anni fa è emerso all'inizio di quest'anno, dopo un periodo di mesi di estrema siccità nel paese, che ha indotto a prosciugare il bacino per irrigare i raccolti. I nuovi scavi, guidati da Hasan Ahmed Qasim, presidente dell'Organizzazione per l'Archeologia del Kurdistan, da Ivana Puljiz dell'Università di Friburgo e da Peter Pfälzner dell'Università di Tubinga, potrebbero fornire informazioni importanti sulla fine del dominio della città da parte dei Mittani e sull'inizio del dominio assiro nella regione, prima che il livello dell'acqua aumenti di nuovo.

La pistola fumante, in aggiunta alla documentazione dettagliata di un palazzo che era già stato identificato nel 2018, arriva da cinque anfore che contenevano oltre 100 tavolette cuneiformi, custodite in "buste" di argilla risalenti al periodo medio assiro. Incredibilmente tali tavolette di terracotta, sopravvissute ai millenni, sono rimaste integre pur essendo state sommerse sott'acqua per decenni, dopo la costruzione della diga di Mosul tra il 1981 e il 1984. 

Stesso stato incontaminato per le mura, realizzate con mattoni di fango essiccato al sole, dovuto probabilmente al fatto che l'edificio fu ricoperto da un rivestimento protettivo di macerie durante il terremoto che distrusse la città nel 1350 a.C. Il palazzo aveva pareti interne spesse fino a 2 metri, strutture intonacate e murales dipinti a colori vivaci. Si pensa sorgesse su una terrazza sopraelevata a circa 20 metri da dove si trovava originariamente la sponda orientale del fiume Tigri. 

Ciò ha portato alla scoperta di antichi edifici cittadini, tra cui un'enorme fortificazione, un edificio adibito a magazzino a più piani e un complesso industriale, tutti risalenti all'epoca dell'Impero di Mittani, che tra il 1550–1350 a.C. controllava gran parte della Mesopotamia settentrionale e della Siria. L'estesa metropoli dell'età del bronzo si trova a Kemune, nella regione del Kurdistan iracheno. Prima che l'acqua salga di nuovo, gli edifici scavati sono stati rivestiti con un telo di plastica prima di essere ricoperti di ghiaia. Questo per proteggere le pareti di argilla cruda e ogni altro reperto ancora nascosto tra le rovine durante i periodi di inondazione dall'erosione e dal degrado. I risultati degli scavi, finanziati dalla Fondazione Fritz Thyssen e dalla Fondazione Gerda Henkel, sono stati annunciati lunedì dall'Università di Tubinga.


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a cura della redazione 1 giugno

Durante la stagione 2021 del progetto "Conservazione architettonica e finiture decorative di El Palacio" è stata rinvenuta, nella Zona Archeologica di Palenque, Chiapas, una rappresentazione del giovane Dio del Mais. La scoperta è stata annunciata, però, solo ieri, a distanza di un anno, dall'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH). È il primo ritrovamento sul sito, di una testa stuccata di questa importante divinità del pantheon Maya. La rappresentazione della divinità, di oltre 1.300 anni fa, è stata trovata in un corridoio dell'edificio. La novità più interessante è che la scultura risulta "l'asse" di un rito celebrato in uno stagno artificiale, con un sistema di drenaggio altamente sofisticato, per emulare l'ingresso della divinità negli Inferi, attraverso l'immersione. La vasca presenta due livelli per la seduta e per gli stanti, con una marcata pendenza che va da est a ovest, fino a un piccolo congegno per drenare l'acqua. I ricercatori hanno anche individuato dietro il muro di contenimento un altro foro, che si pensa porti a una stanza di compensazione. Il drenaggio presumibilmente aveva un tappo per lasciare salire l'acqua fino a un certo livello, permettendo di avere uno specchio di approssimativamente 8 centimetri, nel quale era possibile vedere il riflesso dell'Astro lucente, ma anche quello del cosmo.

L'Istituto ha riferito che nel luglio dello scorso anno, l'équipe interdisciplinare che lavora al progetto ha riscontrato un meticoloso allineamento delle pietre, mentre rimuoveva il riempimento da un corridoio che collega le stanze della edificio B di El Palacio con quelle dell'adiacente ediificio F. All'interno di un ricettacolo semiquadrato, formato da tre pareti, e sotto uno strato di terra smossa, sono emersi il naso e la bocca semiaperta della divinità. Man mano che l'esplorazione procedeva, si scoprì che la scultura era al centri di una ricca offerta collocata su una vasca con pavimento e pareti stuccate (larghezza circa un 1 per 3 metri di lunghezza), costruita con cura e sapienza architettonica per emulare l'ingresso del dio agli Inferi, ricreando un ambiente acquatico, simbolo della purificazione e della nascita nuova vita. Questa scoperta ci permette di comprendere come anche gli antichi Maya di Palenque praticassero un rito di passaggio iniziatico di nascita, morte e Resurrezione. Anche la testa stuccata, lunga 45 centimetri, larga 16 centimetri e alta 22 centimetri, aveva un orientamento est-ovest , che simboleggiava la nascita della pianta del mais con i primi raggi del Sole. 

L'archeologo González Cruz e i suoi colleghi, Carlos Varela Scherrer e Wenceslao Urbina Cruz, che hanno partecipato come responsabili degli scavi, hanno spiegato che la scultura, modellata attorno a un supporto in pietra calcarea, ha caratteristiche aggraziate: “Il mento è affilato, pronunciato e diviso; le labbra sono sottili e sporgenti verso l'esterno – quella inferiore leggermente verso il basso – e mostrano gli incisivi superiori. Gli zigomi sono fini e arrotondati, mentre gli occhi sono allungati e sottili. Dalla fronte ampia, lunga, appiattita e rettangolare, nasce un naso largo e pronunciato”. Un altro vestigio, piuttosto significativo, sono i frammenti di una lastra a treppiede su cui è stata collocata la scultura, che in origine era stata concepita come una testa mozzata. Nel 2018, nello stesso edificio fu rinvenuta una maschera più piccola, poco distante dal ritrovamento della testa del giovane Dio del Mais, che riproduce un volto, presumibilmente della stessa divinità, più vecchia, consolidando le ipotesi che si tratti di un luogo dove veniva celebrato un rito di passaggio.

Il gigantesco volto del dio solare era stato posto sotto una coltre di sedimenti rituali, tra cui vegetali, animali ossa di animali (quaglia, tartaruga bianca, pesce bianco e cane domestico), conchiglie, torte di granchio, frammenti di ossa lavorate, pezzi di ceramica, tre frazioni di figurine antropomorfe in miniatura, 120 pezzi di lame di ossidiana, una porzione di perline di pietra verde, due perle di conchiglia, così come semi e piccole lumache. La disposizione di questi elementi era costituita concentricamente e non da strati, coprendo quasi il 75% della cavità, che era sigillata con pietre sciolte. Alcune ossa di animali erano state cotte e altre mostravano segni di carne e impronte di denti. Indizi che hanno portato i ricercatori a ipotizzare che siano state utilizzate per il consumo umano come parte del rituale.

L'INAH ha evidenziato che, per la tipologia ceramica della piastra a treppiede che accompagnava la testa del "giovane Dio del Mais tonsurato", descrizione che allude ai capelli tagliati del numen, che ricordano il mais maturo, il contesto archeologico è databile intorno al periodo tardo classico (700-850 d.C.). Per González Cruz, è probabile che questi rituali notturni abbiano avuto inizio durante il governo di K'inich Janaab' Pakal I (615-683 d.C.), e siano continuati durante quelli di K'an Bahlam II (684-702 d.C.), K'an Joy Chitam II ( 702-711 d.C.) e Ahkal Mo' Nahb' III (721-736 d.C.). Forse sotto il regno di questi ultimi quello spazio fu chiuso in modo simbolico, rompendo una porzione del pavimento in stucco dello stagno e rimuovendo parte del riempimento edilizio, per depositare una serie di elementi rituali. 

Sopra l'offerta fu posta una lastra di calcare con una piccola perforazione – lunga 85 centimetri per 60 centimetri di larghezza e 4 centimetri di spessore - ma non prima di “sacrificare” la piastra del treppiede, che era quasi spezzata della metà e di una porzione, con uno dei suoi sostegni collocato nel foro della lastra. Veniva quindi un letto semicircolare di cocci e piccole anime di pietra, su cui era posta la testa della divinità, che veniva sorretta lateralmente con gli stessi materiali. Infine, l'intero spazio sarebbe stato chiuso con terra e tre muretti , lasciando la testa del giovane dio del mais all'interno di una specie di scatola, dove rimase nascosta per oltre un millennio. L'opera, rinvenuta in un contesto di umidità, è attualmente in fase di graduale essiccazione, per poi dare il via al suo restauro, per il quale sono stati incaricati gli specialisti del Coordinamento Nazionale per la Conservazione dei Beni Culturali dell'INAH.

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I nostri antenati crearono intricate opere alla luce tremolante del fuoco ispirati da pareidolie rituali. La scienza conferma la complessità cognitiva dell'uomo nel Magdaleniano, senza escludere l’ipotesi di riunioni di tipo sciamanico...


a cura della redazione, 20 aprile

E se gli animali disegnati dall’uomo preistorico non fossero rappresentazioni di vita quotidiana? Potrebbero essere stati utilizzati per riprodurre pareidolie sulle pareti delle caverne alla luce del fuoco, con forme e ombre tremolanti? E se sì, a quale scopo? Un recente studio, condotto dai ricercatori delle Università di York e Durham, pubblicato su PLOS ONE, sembrerebbe confermare l'ipotesi secondo cui il caldo bagliore dei focolari li avrebbe resi il fulcro della comunità per incontri sociali, raccontare storie, ritualizzare l'arte, confermando la complessità cognitiva delle persone preistoriche, senza escludere l’ipotesi di riunioni di tipo sciamanico.

Gli studiosi hanno esaminato una collezione di 50 pietre calcaree rinvenute a Montastruc, un rifugio roccioso nel sud della Francia con un contesto archeologico limitato. Note come placchette, e oggi custodite dal British Museum, furono incise dai cacciatori-raccoglitori tra i 23.000 e i 14.000 anni fa, durante la così detta era Magdaleniana, caratterizzata dal fiorire dell’arte primitiva rupestre. La presenza di bruciature rossastre attorno ai loro bordi suggerirebbe che le pietre siano state accuratamente poste in prossimità di un focolare, per proiettare giochi di immagini e coinvolgere i presenti, per narrare storie o evocare entità soprannaturali.

Per confermare la loro scoperta, gli studiosi hanno utilizzato modelli 3D e software di realtà virtuale, ricreando le condizioni di luce accanto al fuoco e l’esperienza visiva degli artisti preistorici. In precedenza si presumeva che il danno da calore visibile su alcune placchette fosse stato causato da un incidente, ma gli esperimenti hanno mostrato che era più coerente con l’aver posizionato di proposito le pietre vicino al fuoco. “Creare arte alla luce del fuoco sarebbe stata un'esperienza molto viscerale, attivando diverse parti del cervello umano. Lavorare in queste condizioni avrebbe avuto un effetto realistico sul modo in cui le persone preistoriche sperimentavano l'atto creativo di tale forma artistica”, spiega nel comunicato ufficiale l’autore principale dello studio, Andy Needham, del Dipartimento di Archeologia dell’Università di York e co-direttore dello York Experimental Archaeology Research Center

Nel Magdaleniano, diversi contesti archeologici dimostrano che placchette decorate venivano utilizzate insieme a blocchi di calcare non decorati come parte del tessuto di un focolare. La presenza di tracce di riscaldamento sulle placchette di Montastruc potrebbe essere stata direttamente correlata alle forme incise, con gli effetti visivi delle placchette riscaldate che aggiungevano una qualità esperienziale all'arte. Il calcare subisce drammatici cambiamenti fisici quando viene riscaldato, esibendo vividi cambiamenti di colore e fratture o rotture termiche a temperature più elevate, che potrebbero essere state proprietà materiali attraenti per gli artisti di Montastruc. 

Il riscaldamento intenzionale e la fratturazione termica delle placchette decorate è stato precedentemente affermato come una caratteristica importante del loro uso, come mezzo per "sacralizzare" le placchette. Infatti, in siti come La Marche e Labastide, le pietre incise appaiono strettamente associate ai focolari, senza un apparente motivo funzionale. Gli effetti drammatici del riscaldamento di oggetti d'arte portatili sono stati riconosciuti in altri contesti del Paleolitico superiore, come le esplosioni di figurine di loess riportate dal sito gravettiano di Dolni Vĕstonice, nella Repubblica Ceca. Inoltre, l'effetto di una sorgente di luce tremolante sulla topografia ondulata del calcare è considerata dagli studiosi come una caratteristica integrante di alcune forme di arte rupestre parietale, aggiungendo dinamismo alle forme animali raffigurate.

“Potrebbe aver attivato una capacità evolutiva, dove la percezione impone un’interpretazione significativa come la forma di un animale, un viso o uno schema dove non ce n’è. Sappiamo che le ombre e la luce tremolanti migliorano la nostra capacità evolutiva di vedere forme e volti in oggetti inanimati e questo potrebbe aiutare a spiegare perché è comune vedere disegni di placchette che hanno utilizzato, o integrato, elementi naturali nella roccia per disegnare animali o forme artistiche”, aggiunge il ricercatore. Secondo lo studio, la realtà virtuale utilizzata per esplorare gli effetti visivi delle pietre, attraverso i modelli 3D delle placchette di Montastruc, suggerisce che sotto una sorgente di luce dinamica a basso lume le forme incise apparivano animate. L'integrazione delle caratteristiche naturali del calcare e l'animazione delle forme raffigurate alla luce del fuoco sarebbe inoltre strettamente legate e parallele alle arti figurative parietali. Un indizio che spinge gli studiosi sempre più a interpretare le rappresentazioni degli artisti magdaleniani come precisi schemi rituali.


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La scoperta mostra che i Maya organizzavano il tempo in modo rituale molto prima di quanto si credesse in precedenza. Tra le illustrazioni dei loro dei e l'origine del mondo, gli archeologi hanno trovato uno dei primi esempi della scrittura di questa civiltà precolombiana...


a cura della redazione, 13 aprile

Gli archeologi hanno trovato il primo esempio di annotazione del calendario Maya su due frammenti di murales, rinvenuti nelle profondità della piramide guatemalteca di San Bartolo, nella giungla di El Petén, tra migliaia di resti di antiche pareti. Una scoperta che dimostra come i Maya organizzassero il tempo in modo rituale molto prima di quanto si pensasse. Su un frammento sono disegnati un punto e una linea orizzontale, mentre tra la sua parte inferiore e il secondo segmento di gesso è ben visibile la testa di un cervo. 

LO SAPEVI CHE - La data dei “7 cervi” era seguita, nel Tzolk'in, da “8 stelle”, “9 giada/acqua”, “10 cani”, “11 scimmie”... Durante il periodo classico, gli scribi Maya usavano solo raramente la testa di cervo come glifo per il settimo giorno. Invece, era molto più comune usare un segno della mano, che mostrava il tocco del pollice e dell'indice. Ciò può essere spiegato dall'uso stabilito del segno della mano in altre impostazioni come il segno fonetico "chi", che indica in Ch'olan il "chij", derivato dal proto-Maya "kehj". Ciò riflette lo status del Ch'olan come lingua e scrittura di prestigio, usata anche tra le comunità nelle pianure Maya. Sino ad ora il primo uso attestato come "il giorno Cervo" era stato registrarto nel primo periodo classico (dal 200 al 500 d.C.). L'uso della testa di cervo a San Bartolo datato tra il 300 e il 200 a.C. circa, invece, potrebbe rappresentare una fase iniziale dello sviluppo della scrittura Maya, prima che la mano del "chi" puramente fonetico emergesse come forma Ch'olan standard del segno.

Segni che alludono, secondo i ricercatori, allo Tzolk'in, il calendario sacro composto da 260 giorni, rappresentati da glifi e numerati da uno a 13 in modo ciclico, che ricordano la durata della gestazione umana. In particolare si tratterebbe di un chiaro riferimento al giorno dei "7 cervi": il popolo Maya, infatti, scriveva il numero sette con due punti in cima a una linea. Secondo gli studiosi manca, però, il pezzo che riporta il secondo punto, ma contano di trovarlo tra i 249 frammenti che hanno sino ad ora attribuito all'antico calendario. I dettagli di questi risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Advances.

Scoperto nel 2001, da un gruppo di studiosi, guidato da William Saturno, il luogo si distingue per la sua piramide a gradoni, cui sono state attribuite sette fasi costruttive, poste l'una sull'altra. Durante ogni nuova fase le mura coprivano completamente quelle precedenti, includendole all'interno delle fondamenta. 

Gli scavi archeologici nel sito Maya hanno rivelato una serie di importanti dipinti murali risalenti al periodo tardo preclassico (dal 400 a.C. al 200 d.C.). Questi provenivano da un unico complesso architettonico, chiamato Las Pinturas per i colori vivaci utilizzati negli affreschi. Il luogo era associato alle osservazioni astronomiche Maya e alla scienza del calendario, cui afferiscono diverse strutture ausiliarie che definivano l'intero complesso rituale, comprensivo di una piattaforma allungata denominata Ixbalamque

Gli archeologi hanno scoperto più di 7.000 pezzi di gesso e resti delle pareti distrutte. I frammenti che riportano il giorno dei "7 cervi" sono stati attribuiti tra la III e la IV fase costruttiva, quando la piramide centrale era più piccola. Per ampliarla i suoi muri furono abbattuti. Ciò che ha destato maggiormente l'attenzione degli studiosi è il rispetto con cui i Maya trattarono i detriti depositandoli con precisione all'interno della camera ampliata come una sorta di sepoltura simbolica delle immagini e dei testi su di esse custoditi. La cura con cui i Maya smantellarono il murales, come ne hanno rimosso l'intonaco, come lo hanno posto all'interno della camera suggerisce l'esistenza di una regola costruttiva: realizzando la nuova struttura, seppellirono quella vecchia come se la considerassero qualcosa di sacro, là dove nelle immagini dipinte, impregnate di ritualità, era stata impressa la Vita.

Le indagini sulle fondamenta architettoniche di questo complesso rituale hanno rivelato dipinti anche precedenti e un frammento che conteneva importanti prove della prima scrittura geroglifica Maya. I famosi murales policromi di San Bartolo raffigurano divinità e umani in scene di carattere mitologico che ci danno uno spaccato della loro cultura e religione. Sembra furono dipinti all'interno di un tempio, durante la penultima fase del complesso. Con l'aiuto di sofisticate tecnologie di imaging e delle conoscenze accumulate su tale civiltà, i ricercatori sono riusciti a ricomporre scene che mostrano l'origine del mondo secondo l'antico popolo scomparso, del loro dio del mais o del dio del Sole che sorge sulla montagna.

Gli archeologi hanno anche trovato glifi che forniscono nuovi indizi sugli aspetti chiave di questa antica cultura. Uno è il primo riferimento scritto abbinato a una figura su un trono in dipinti che precedono di 100 anni la monarchia di Tikal, Ceibal o Palenque. Datato tra il 300 e il 200 a.C. circa, è considerato uno dei primi esempi di scrittura precolombiana del Mesoamerica, testimoniando che già allora esistevano una complessa organizzazione sociale e una gerarchia del potere. Precedenti scoperte di iscrizioni geroglifiche al San Bartolo hanno dimostrato che i sistemi di scrittura si erano sviluppati nell'area delle pianure Maya centrali molto prima di quanto si pensasse in precedenza. I primi esempi di scrittura geroglifica Maya, trovati a Oaxaca, in Messico, risalgono al 400 a.C. circa, quelli di San Bartolo risalgono al 300 a.C. circa, un indicatore significativo di espansione in un breve lasso di tempo, considerando che San Bartolo si trova più di 800 chilometri a sud-est di Oaxaca.


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Un hub fuori dall'Africa spiega i lignaggi dell'Asia orientale in Europa 45.000 anni fa....


a cura della redazione, 7 aprile

Gli antichi resti umani rinvenuti nella grotta di Bacho Kiro (nell'odierna Bulgaria) e recentemente descritti geneticamente  sono stati segnalati come strettamente correlati agli asiatici orientali contemporanei rispetto agli europei contemporanei. Sono stati proposti diversi scenari per spiegare tale scoperta, ma il risultato sconcertante finora ha sollevato più domande che risposte riguardo agli antichi movimenti delle popolazioni che potrebbero spiegare la presenza di individui geneticamente dell'Asia orientale in Europa circa 45.000 anni fa. Uno studio pubblicato su Genome Biology and Evolution ha tentato di risolvere questo mistero, collocando quegli individui nel più ampio contesto dei genomi umani del Paleolitico eurasiatico e comparando le analisi genetiche alle prove archeologiche. 

Lo studio è stato condotto da Leonardo Vallini e dal Prof. Luca Pagani, dell'Università di Padova  in collaborazione con la Dott.ssa Giulia Marciani e il Prof. Stefano Benazzi dell'Università di Bologna , Italia. Nello scenario proposto dagli autori, la colonizzazione dell'Eurasia orientale e occidentale è stata caratterizzata da diversi eventi di espansione ed estinzione locale dovuti a un hub, dove gli antenati di tutti gli eurasiatici prosperarono dopo essersi avventurati per la prima volta fuori dall'Africa circa 70.000-60.000 anni fa. Una precoce, fallita espansione dell'Homo sapiens ebbe luogo prima di 45 mila anni fa . L'unico rappresentante di quella migrazione, che non è imparentata né con gli europei moderni né con gli asiatici moderni, è stato recuperato da Zlatý kůň, nell'attuale Repubblica Ceca e non è ancora chiaro quanto fosse diffuso. “Poi, intorno ai 45.000 anni fa, una nuova espansione promanò dall'Hub e colonizzò un'ampia area che va dall'Europa all'Asia orientale e all'Oceania ed è associata a un modo di produrre utensili in pietra noto come Paleolitico Superiore Iniziale” afferma Leonardo Vallini , primo Autore di lo studio.

Il destino di questi coloni fu diverso in Asia orientale e in Europa: mentre nei primi resistettero e alla fine portarono alla formazione delle moderne popolazioni dell'Asia orientale, i rappresentanti europei di questa espansione declinarono e in gran parte scomparvero , lasciando il Bacho Kiro , l'elusivo individuo di Oase dalla Romania e pochi altri rimane l'unico testimone di questo primo popolamento dell'Europa. "È curioso notare che, più o meno nello stesso periodo, si estinsero anche gli ultimi Neanderthal", racconta Giulia Marciani , dell'Università di Bologna e coautrice dello studio. "Infine, un'ultima espansione si è verificata qualche tempo prima di 38.000 anni fa e ha ricolonizzato l'Europa dallo stesso hub di popolazione, la cui posizione deve ancora essere chiarita", riassume Luca Pagani , autore senior dello studio. "Sebbene anche in Europa ci fossero interazioni occasionali con i sopravvissuti dell'ondata precedente, un'estesa e generalizzata mescolanza tra le due onde si è verificata solo in Siberia, dove ha dato origine a una peculiare ascendenza nota come Ancestral North Eurasian, che alla fine ha contribuito all'ascendenza dei nativi americani".

Questa migrazione è associata ad un diverso complesso culturale denominato Paleolitico superiore, che caratterizza i principali siti paleolitici europei. “È interessante notare che, da una prospettiva culturale, questi nuovi strumenti di pietra sono stati spesso descritti come un'assemblea indipendente piuttosto che uno sviluppo locale di tecnologie preesistenti in Europa: è piacevole vedere che le informazioni genetiche e culturali possono essere conciliate sotto uno scenario complessivo”, conclude  Telmo Pievani , dell'Università di Padova. Gli autori concludono che ulteriori sforzi dovrebbero essere diretti a chiarire la posizione geografica dell'hub e a identificare sia le cause interne che esterne alla base di questi antichi movimenti di popolazione, nonché le dinamiche culturali associate.


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